Dopo secoli di leggende e misteri, il Colosso di Barletta e’ pronto a ‘parlare’ per svelare la sua vera eta’: lo stanno ‘interrogando’ in questi giorni i ricercatori dell’Universita’ di Milano-Bicocca, che nel laboratorio di archeometria stanno analizzando le terre di fusione prelevate dall’enorme statua di bronzo per ricostruirne la datazione. L’indagine, promossa dal Comune di Barletta, si concludera’ nei primi mesi del 2017, e permettera’ con l’aiuto degli storici dell’arte di compilare una prima ‘carta di identità’ del gigante simbolo della citta’ pugliese, conosciuto da secoli come Eraclio e affettuosamente chiamato da tutti ‘Are”.

Collocato su un piedistallo vicino alla Basilica del Santo Sepolcro, il Colosso svetta imponente con i suoi 4,5 metri di altezza, avvolto da vesti imperiali e leggende popolari che narrano del suo ritrovamento su uno scoglio del porto, dove sarebbe giunto dopo il naufragio di una nave veneziana al rientro da una crociata. Questa ipotesi, esclusa dagli storici, ha ormai lasciato spazio ad un’altra piu’ probabile, secondo cui la statua sarebbe stata elevata a Ravenna per poi essere trasportata in Puglia su ordine dell’imperatore Federico II di Svevia. Impossibile risolvere questo enigma con le tradizionali tecniche di datazione come il radiocarbonio: «non sono applicabili sui metalli – spiega la ricercatrice Emanuela Sibilia dell’Universita’ Bicocca – L’unico modo per ricostruire l’eta’ della statua e’ quella di datare l’evento di fusione che l’ha creata». Per farlo, i ricercatori sono entrati nella statua con l’aiuto dei restauratori e hanno prelevato le terre di fusione, ovvero i residui delle terre usate come stampo nella tecnica di fusione a cera persa. Grazie alle analisi basate sulla termoluminescenza sara’ possibile fare una stima dell’epoca in cui venne creato il monumento.