Quattro anni fa andava via, strappato alla vita da un male incurabile, Pietro Mennea, la Freccia del Sud, colui che ha reso Barletta celebre per tutto il globo, l’atleta che ci ha insegnato a contare i passi in metri e frazioni di secondo. In pista Mennea si caratterizzava per una partenza dai blocchi piuttosto lenta, motivo per il quale prediligeva i 200 metri rispetto ai 100, caratterizzandosi per rimonte eccezionali: l’avvio slow, spesso, anzi quasi sempre, rappresentava il prologo a un’accelerazione progressiva ma efficace che lo portava a velocità di punta sconosciute agli altri avversari. Guardare oggi al lungomare di Ponente, che da un triennio ne porta il nome, lascia pensare ai più ottimisti che anche la sua città ne abbia ereditato il passo: al momento, però, siamo ancora fermi ai blocchi. La leggenda vuole che da piccolo Mennea si fosse guadagnato la fama a Barletta sfidando in corsa i “macchinoni” o i “bolidi” dei ragazzi più ricchi: non c’erano Alfa Romeo o Ferrari che tenessero, Pietro in velocità le bruciava tutte. Oggi le auto corrono sul lungomare, e spesso i loro conducenti hanno uno sguardo interrogativo rivolto all’orizzonte.

I due chilometri e mezzo circa di litorale, al quale andrebbe sommata una pari estensione se si tenesse conto dello spazio meno frequentato durante i mesi invernali, rappresentano al momento una summa dei desideri di Barletta: una sorta di “vorrei ma non posso” messo su tela, delimitato dalla sabbia e incorniciato dal cielo. Sognare una Palm Beach italiana, per presenza di arbusti dalla forte presenza scenografica ed estensione delle spiagge, non sarebbe infatti impossibile. Idealizzarne la vocazione sportiva, altrettanto. Alla prova dei fatti, però, siamo lontani da questi obiettivi: e la qualità delle acque, spesso nel cuore della critica, questa volta conta poco. A contare è la capacità di programmare e non essere estemporanei. Un campetto da basket, con un solo canestro, su un playground di cemento intorno al quale crescono malinconiche margheritine con vista porto, non può essere sufficiente, così come non lo è il “Basket on the Beach”, lodevole iniziativa che ha portato migliaia di persone a dar vita a tornei, competizioni e contaminazioni la scorsa estate.

Una programmazione pluriennale, ruotante intorno al nome di Pietro Mennea, darebbe senso, e non solo lustro, all’intitolazione del litorale. Il tre volte campione italiano nei cento metri e undici volte campione italiano nei duecento metri, ha avuto l’onore, nel marzo del 2012, di vedersi dedicata una stazione della metropolitana di Londra, in occasione delle iniziative collegate con i Giochi Olimpici londinesi. E se il lungomare Mennea, oltre che sede degli allenamenti degli appassionati di turno, centinaia ogni giorno (numeri importanti, attestati dall’imponente attività amatoriale e non che ne consegue) diventasse l’epicentro fisico per il ritrovo degli sportivi e degli agonisti i di una città con poche strutture? Ci sarebbero costi da affrontare, ma pensate all’eco e alla possibilità di programmare che ne verrebbe fuori. Veronica Inglese, Mimmo Ricatti e Vito Incantalupo, per citare alcune “perle” dell’atletica leggera nostrana, potrebbero allenarsi in città senza emigrare. Le attività ricreative della zona sarebbero frequentate 365 giorni l’anno. Perché no? Poi passeggi, vedi cartoni di pizza abbandonati al loro destino, e ti chiedi: ma ce lo meritiamo?