«L’Ufficio Economico della nostra Confederazione Nazionale ha predisposto due interessanti documenti elaborati, su indagine Istat, dall’Osservatorio Nazionale della nostra Organizzazione, sui quali val bene esprimere alcune considerazioni personali da parte di chi vive il nostro territorio». E’ il contenuto di una riflessione a firma del direttore di Confesercenti Bat Raffaele Mario Landriscina. «Si dimostra infatti che i consumi delle famiglie sono cambiati radicalmente nell’ultimo decennio, orientandosi più verso la ristorazione e il turismo a danno del commercio tradizionale -prosegue la nota- tale cambiamento ha, conseguentemente, prodotto un exploit del settore turistico e di servizi annessi quali bar, ristoranti,  modificando di fatto (a dimostrazione della necessità di politiche integrate di rigenerazione urbana che vedano coinvolti settori decisivi per il benessere e la qualità di vita degli ambienti urbani) il volto delle strade e delle piazze delle nostre città. Caratteristica italiana ma che ben si può percepire anche nel nostro territorio. Colpisce il fatto che, dal 2007 a oggi, a livello Nazionale, sono scomparse oltre 108mila imprese del “Commercio in sede fissa”, parzialmente sostituite da “pubblici esercizi e attività ricettive” che hanno registrato un incremento del 16,6%. La causa primaria di questo cambiamento di rotta dei “consumi degli italiani” è in gran parte addebitabile sicuramente agli effetti della recessione, che ha obbligato le famiglie italiane a fare tagli netti e spese più selettive, spendendo, nel 2016, ben 1.492 euro annui a famiglia in meno rispetto al 2007».

«Nello specifico -spiega Landriscina- sono i “consumi non alimentari” ad aver subito maggiormente tale crisi; in particolare le spese destinate alla moda quali tessili, abbigliamento e calzature che hanno registrato un vero e proprio tracollo dei consumi, ossia un meno 498 euro rispetto al 2007; a seguire, i consumi per i trasporti con un meno 346 euro; mobili e servizi per la casa con un meno 263 euro; ricreazioni, spettacoli e cultura con un meno 206 euro. Non sorprende, per motivi che si possono approfondire in separata sede, che la maggiore sofferenza sui consumi si registra soprattutto nelle regioni del Centro Sud, dovuta prioritariamente alle forti disparità territoriali ascrivibili soprattutto a livello del reddito medio ed al costo della vita. Infatti i valori della spesa media familiari sono più elevati nelle regioni Centro-Settentrionali e più contenuti nel Meridione. Andando a verificare i dati nel dettaglio anche a livello Regionale, viene confermata tale analisi, così come in seguito potremo verificare a livello provinciale, in quanto si evidenzia che la Puglia ha fatto registrare l’incremento più alto di nuove aperture di attività nel settore “Alloggio” con ben il 76,9%, equivalente a 1.316 imprese registrate; (al secondo posto subito dopo la Sicilia) e per le attività del settore “Ristorazione” con una percentuale di incremento pari al 21,9%, equivalente a ben 3.867 imprese registrate in CCIAA.

Il trend è confermato anche a livello Provinciale. Infatti, analizzando i dati aggregati della Provincia BAT con quella di Bari (purtroppo scontiamo la scarsa rappresentatività della nostra Provincia) si conferma quanto segue:

  • nel settore Commercio al Dettaglio (escluso quello di autoveicoli e di motocicli) si è passati da n.30.496 imprese del 2007 a n.25.094 nel 2017, ossia con una diminuzione di ben 5.402 impresecon una variazione percentuale del meno 17,7%;
  • nel settore Alberghi e Ristoranti si è passati da n. 6.803 imprese nel 2007 a n.8.779 nel 2017, ossia con un aumento di n.1.976 imprese, con una variazione percentuale positiva del 29,1%.

«Sulla base di tali dati, la considerazione finale da fare -conclude Landriscina- in linea con quanto da tempo ribadito dalla Confederazione Nazionale, è che si è in una fase turbolenta di crisi, dalla quale non solo non si è usciti definitivamente, ma, anche e soprattutto per le Piccole Imprese, è in atto un momento di cambiamento epocale per le imprese, a fronte del quale l’argomento della “ripresa dei consumi” sembra rimanere secondario, anziché prioritario, nei dibattiti politici sulla economia. Al contrario, per risollevare la nostra economia, si continua a proporre strategie di rafforzamento (pur necessario ma non le sole) del settore manifatturiero indirizzate in particolare all’aumento della esportazione, non rendendosi conto che, dal 2008 (inizio del periodo di crisi) ad oggi, nonostante l’aumento delle esportazioni abbia superato di 13 punti percentuali la spesa delle famiglie, vi sono stati effetti positivi abbastanza limitati sulla nostra economia in generale. Un gap enorme che si è sostanziato in 47 miliardi di consumi persi in 10 anni, testimonia quanto sia debole la domanda interna, rendendo indispensabile concentrarsi sul tema del rilancio dei consumi, della occupazione e della necessaria maggiore disponibilità di reddito da mettere in circuito. Attenderemo ancora, ma fino a quando resisteremo?».