Grande commozione venerdì 16 marzo presso il Grow Lab di Barletta per l’interpretazione della bravissima Teodora Mastrototaro in “Felicia (Frammenti di Felicia Impastato)”. A 40 anni dall’assassinio per mano mafiosa di Peppino Impastato, l’attrice e poetessa barlettana ha portato in scena per la seconda volta e dopo ore di prove e impegno, grazie alla gentile disponibilità del Grow Lab, una madre, i ricordi nitidi di un figlio cresciuto e amato, il dolore della perdita, dell’ingiustizia, dell’omertà, i brandelli frammentati del suo cuore spezzato. La scena era allestita in modo essenziale, una sedia, un tavolo e un lenzuolo bianco, che hanno accompagnato Teodora durante l’intera rappresentazione.

L’atmosfera era dunque chiaroscurale, come il percorso intimo e a tappe che viene narrato da Felicia, donna siciliana, dalla vita semplice, che si prostra al suo pubblico nella sua quotidianità, in un momento senza tempo, sospesa tra i ricordi e divisa tra un passato felice e un presente straziante. Teodora si sdoppia, si moltiplica, diventa altro da sé, nelle innumerevoli sfumature di Felicia, che si perde nel racconto dei ricordi della maternità, nel racconto di riflessioni sulla mafia, del marito oppressivo, fino al totale straniamento, fino a diventare la donna che deve muoversi “a comando”. E’ nitida oltre che esplicativa dunque la scelta del titolo “Frammenti”, indicativa dell’alienazione di una donna che è ormai allontanata come un automa dalla sua stessa essenza, e che si vede (e si fa vedere) completamente dilaniata nei ruoli che il mondo esterno pretende da lei. Ed è così che paragona il suo essere madre alla scrofa rinchiusa in un allevamento intensivo, con l’unica finalità di concepire prole; poi il suo essere moglie, che la conduce a mettere in luce il suo disgusto per la mafia; la donna a lutto, il cuoi punto nodale è la sofferenza lacerante per la morte del figlio Peppino.

Uno spettacolo toccante, in cui la terra di fuoco, la Sicilia, viene rammentata per le sue meraviglie e condannata per le sue crepe, in cui la Mafia viene paragonata ad un’infezione degenerante, come recitato da Teodora, in cui viene messa in rilievo in questo orrore e in questo giuoco delle parti, la dolcezza più innocente dell’essere madre: “Di mio figlio baciai la fronte, non le mani”, espressione chiave di avversione ad un gesto di sottomissione, di assoggettazione al male, di desiderio di riscatto e di giustizia. Lo spettacolo si è dipanato in un’abile alternanza di prosa e parola poetica, lasciando spazio ad un lessico semplice, domestico, che ha raggiunto anche allegorie di denuncia riguardanti un’esistenza trascorsa in penombra a causa della Mafia. Felicia Impastato fa come gran finale un augurio ai posteri, alle nuove generazioni, lascia un monito importante: “Quando protestate fatelo con la cultura e nuove idee tra le mani”.

a cura di Carol Serafino