Don’t get killed è il “vlog” di Guido Tabacco, anche se a lui le definizioni non piacciono, infatti il suo è più un “non luogo” che viaggia nell’etere e attraverso il quale Guido racconta la sua vita, quella di un barlettano in Brasile, con le sue contraddizioni e le immancabili bellezze. Un giovane pronto a lanciarsi nel vuoto per riscoprire se stesso, cresciuto all’ombra del mercato pubblicitario e cinematografico. Si laurea inizialmente al DAMS di Roma, prima di intraprendere gli studi specialistici presso la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia a Milano. Ma i meccanismi che ruotano attorno al sistema a Guido stanno stretti ed è così che decide di lasciare tutto per mettersi alla prova con qualcosa di veramente ed unicamente suo.

Don’t get killed, un vlog a tutti gli effetti. Com’è nata l’idea e come hai deciso di concretizzarla?
«Durante la scuola ho sviluppato un’esperienza nel campo del video e della pubblicità. Esperienza che mi ha vagamente alienato, non sopportavo di dover sottostare all’idea di un committente. Ho capito di aver bisogno di più indipendenza, di essere libero e questa cosa è coincisa con il mio lasciare Milano, per provare a viaggiare per non essere stabile in un solo luogo. Questo è il contesto in cui è nata la mia idea, io e la mia ragazza stiamo viaggiando insieme e gestiamo lo storytelling e i social in maniera fluida ed indipendente. Tutta la nostra creatività è sfociata in “Don’t get killed”, un’esortazione a provarci, a buttarcisi dentro. Sbagliare è lecito, diversamente da quanto accade normalmente per lavoro, provare a fare un video ogni giorno è una vera e propria sfida per me. Prima per realizzare un video, con tutte le aspettative e le attese del committente, ci mettevo molto di più per crearlo, circa sei mesi. Don’t get killed è invece un’esortazione ad essere libero, a provare, sperimentare, sbagliare. Cerco costantemente e inseguo l’idea di migliorare, di diventare ogni giorno un po’ più bravo, è quello che mi alletta».

Un giovane barlettano racconta il suo vissuto quotidiano nell’esperire il mondo. Che messaggio intendi trasmettere?
«Non ho la presunzione di andare a dire, insegnare o comunicare qualcosa, a me interessa esprimere ciò che sto vivendo, per condividere le mie esperienze e magari in questo modo aiutare qualcun altro a fare lo stesso. Per svincolarsi da determinati preconcetti, per fare un passo in avanti come sto cercando di farlo io. Ho tanta voglia di raccontare storie, in maniera genuina, non controllata, fresca, di getto».

Parlaci del Brasile, quali sono gli aspetti di questa nazione che ti stanno segnando maggiormente?
«Premesso che sono qui da soli due mesi e che il Brasile è grande quanto tutta l’Europa, servirebbero circa dieci anni per capirlo a fondo. Ho in mente l’immagine dell’Amazzonia quando penso al Brasile nella sua interezza, come se fosse qualcosa di così grande da esplorare che quasi mi sembra di non poterci mai riuscire. A livello architettonico mi sembra che qui le città siano costruite molto di più nel rispetto della natura, c’è molto più verde ovunque, anche nelle autostrade, è come se in questa nazione avessero più bisogno della natura. Dal punto di vista sociale mi piace l’atteggiamento delle persone nei confronti della vita e come si vive in società. Questo è un Paese con una fortissima disuguaglianza sociale e contraddizioni interne, forte disparità, non si può parlare di un solo Brasile, ma di una serie di diversità raccolte in una nazione. Ciò che mi affascina nonostante questo però è l’atteggiamento dei brasiliani nei confronti della vita, contraddistinto da una palpabile rilassatezza. Le havaianas sono infatti il simbolo perfetto del loro stile di vita perchè qui vivi praticamente in infradito e pantaloncini tutto il giorno. Vivere in un posto in cui fa sempre caldo, cambia sicuramente la mentalità della gente. Questo cambia il proprio modo di vivere la città, la socialità, il rapporto con i vestiti e con le persone trasformandosi in un atteggiamento molto positivo è questo che mi affascina. Per me, che sono fortunato e sto vedendo solo cose belle, anche a Copacabana dove poveri e ricchi stanno insieme, percepisco tanta musica nel loro sangue. La musica è una rappresentazione sociale, è un’espressione di un modo d’essere che si rivede in tutto».

Come stai portando la “barlettanità” in giro per il mondo?
«Non sono sicuro di stare portando la barlettanità in giro per il mondo. Qualche giorno fa ho fatto una focaccia ed anche un video, mi era venuta nostalgia del cibo italiano e qui lo hanno apprezzato. Sono sicuro di avere nostalgia della mia città. È inevitabile che ti manchi casa quando vai via, io dopo due mesi e mezzo posso dire che mi è piaciuto tantissimo il mio viaggio ma sarò contento di tornare a casa quando sarà il momento. Barletta è la mia città, il punto che vivo come casa, quello in cui ritorno, quello che mi porto dentro dappertutto».

La passione per il video e la fotografia ed il viaggio come banco di prova. Cosa speri di portare a casa da questa esperienza?
«Il viaggio è sicuramente un enorme banco di prova per tutto, per la vita. Fino a quando non esci dalla tua comfort zone non pui scoprire chi sei e misurarti. Devi provare a misurarti con qualcosa di completamente diverso per capire chi sei. Questo è fondamentale per me, voglio vivere in maniera molto più liquida, per continuare a mettermi alla prova, per provare a raccontare le storie che voglio ma a modo mio, in maniera dinamica e diversa. Devi viaggiare, con la testa e con il corpo, per non diventare qualcosa che è il concetto, l’idea che hai di te stesso. Anch’io stavo rischiando di cadere nell’idea che desideravo per me a diciott’anni, poi ho deciso di lasciare tutto ed esplorare il mondo».

I giovani ed il futuro. Cosa consiglieresti a chi è in cerca della propria “strada”?
«Cercare la propria strada credo sia qualcosa che non va più bene. Il mondo è completamente cambiato. Cercare la propria strada presuppone che esista una strada e che si debba solo trovarla. Questo è impossibile, oggi la propria strada la si deve costruire senza essere ossessionati dagli obiettivi stabiliti, questo è il consiglio che mi sento di dare. Obiettivi e strade delineate da qualcun altro non vanno bene, provengono da chi ha vissuto in epoche diverse. Credo che il mondo adesso vada in una direzione completamente opposta rispetto a prima, una direzione non più compatibile con le classiche logiche del raggiungere il successo. Non serve un obiettivo finale, non c’è un arrivo ma tanti piccoli pit stop, non c’è una direzione giusta o sbagliata, ma solo imboccando direzioni con coscienza si può tradurre nel prendere decisioni ricordando sempre ciò che si ama fare e che si è. Sapere di amare qualcosa e farla per piacere porta a non perdersi mai».

Qual è la tua prossima meta?
«La prossima meta non è ancora stata stabilita, probabilmente tornerò per un po’ a Barletta poi non si sa, l’importante è essere sempre dinamici, in fondo c’è tutto il mondo da vedere. La meta per me è il video di domani, non mi interessa quale sia il luogo, l’importante è andare avanti ed essere felici ogni giorno».