Mosaico di Aufidus, a cura di Massimiliano Cafagna, Francesco Delrosso, Antonio Lionetti e Saverio Rociola, è un gesto fisico e concettuale volto alla riscoperta del territorio ofantino, che comprende la stazione, il fiume, il sito archeologico, la fontana di San Ruggiero, il Menhir e il vasto paesaggio agricolo, evidenziando la sua frammentazione attraverso il colore, con l’obiettivo di sottolineare la necessità di una loro riconnessione e recupero.

La fermata di Canne della Battaglia, considerata porta d’accesso di questo territorio, è attualmente un punto della “via del ferro” che ripercorre il fiume Ofanto, in passato Aufidus. Lo stesso che in epoca romana, proprio a Canne, ospitava un emporio, motivo d’interesse strategico del generale Annibale. 

La stazione è tuttora snodo che connette attraverso i propri binari le città a confine tra le Murge e la Valle dell’Ofanto. Nonostante ciò, questo scalo si sta trasformando da luogo di passaggio a luogo in abbandono, una fermata in attesa di una visione futura, un punto che, allo stato attuale, frammenta il mosaico del territorio ofantino e dell’area archeologica dal resto del paesaggio. 

Il mosaico, che di per sé è una tecnica decorativa ottenuta grazie all’utilizzo di frammenti, è inteso in Mosaico di Aufidus come un’operazione che rappresenta la storia di un territorio attraverso la trama di pietre colorate con cui restituisce il suo disordine, ovvero un ordine non voluto. Due tonalità di Blu, per rappresentare l’Ofanto in piena e in magra, e due tonalità di Rosso, come il sangue e la terra, sono i colori individuati per rievocare l’immagine del passato e presente di un territorio in pezzi.