Home Attualità Flora Mascolo: «Ero a Nizza il 14 luglio, viaggiare è l’unica risposta»

Flora Mascolo: «Ero a Nizza il 14 luglio, viaggiare è l’unica risposta»

Intervista alla 21enne studentessa barlettana

Flora Mascolo, 21enne barlettana, studia per diventare mediatrice linguistica: viaggiare e approfondire l’uso di inglese e francese è sempre stata una passione per lei. Londra, Dublino, Cannes, Budapest:  tanta Europa nelle sue cartoline. Fino al viaggio che, per sua ammissione, «le ha cambiato un pezzo di vita». Il 29 giugno ha raggiunto Nizza per trascorrere un mese con due amiche di università, Terry e Federica: «L’idea era quella di cercare lavoro così da poter vivere autonomamente e praticare allo stesso tempo la lingua. Ma la nostra esperienza è terminata prima del previsto». Il 14 luglio era a pochi passi dalla Promenade des Anglais, dove la furia omicida di Mohamed Lahouaiej Bouhleh ha strappato alla vita 84 persone. Dieci giorni non hanno lenito le ferite, ma i racconti aiutano a «guardare al futuro».

Cosa ricordi di quella sera?

«Eravamo sulla Promenade. Ci eravamo arrivate più o meno alle 22: è stata una serata particolare sin dal principio. Una delle mie due amiche aveva fatto discussione al telefono con il suo fidanzato perché lui l’aveva messa in guardia, visto che in Francia era festa nazionale. Ovviamente lei era infastidita da questo. Abbiamo visto i fuochi a pochi passi dai militari presenti, fino alle 22.40, poi ci siamo spostate verso un bar nella strada parallela, “El mercado”. Su questi movimenti siamo state estremamente concordi, mentre nelle altre sere spesso non eravamo state d’accordo sul da farsi. Era una sera estremamente ventilata, dopo 15 giorni di sole e bel tempo: con il passare dei minuti mi sono accorta che il locale si affollava con troppa velocità. Sentivo qualcuno gridare “la pluie, la pluie”: la pioggia. Ma c’era davvero troppa gente che entrava nel locale: ricordo due ragazzine, avranno avuto 15 anni. Piangevano e non sapevano dirmi perchè».

Quando hai cominciato a capire cosa stava accadendo?

«Di lì a poco: in 30 secondi ero stata catapultata in cucina e lì avevo iniziato a realizzare che stava accadendo qualcosa di strano. Nel frattempo avevano chiuso la porta del bar e tantissimi fuori chiedevano di entrare: altrettanti si nascondevano. Ricordo un uomo, corpulento: era lì con la sua donna e cercava una via d’uscita. Non capivo perchè. Dopo alcuni minuti ho provato a uscire dalla stanza nella quale ci eravamo rifugiati per recarmi in cucina: un ragazzo si era addirittura rintanato in un tiretto, altri cercavano armi. Allora ho deciso di allontanarmi e telefonare mia madre: mi sono paralizzata ascoltando la sua voce, avevo voglia di piangere. C’erano tante voci e nessuna certezza: ho provato a tranquillizzarla, ma avevamo notizie troppo frammentarie. Le ho mentito, dicendole che era finito tutto e che i militari ci stavano permettendo di tornare a casa. Allora è caduta la linea. Sono tornata dalle mie amiche e ricordo la frase di una di loro: mi ha guardato e mi ha detto, “io non voglio morire”».

Come si fa a far prevalere la razionalità in quei momenti?

«I più non ci riescono. Io ci ho provato: l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento. Dopo alcuni minuti, non sentivamo più urla all’esterno, ma era solo calma apparente. Intorno alle 23.10 altre persone sono entrate nel bar e hanno iniziato a gridare e piangere. Erano alcuni testimoni dell’attentato. In quel momento il panico è arrivato alle stelle: ho deciso di telefonare nuovamente a casa, temevo potesse essere l’ultima telefonata, avevo necessità di sentire una voce familiare e sono scoppiata a piangere. Ho sentito una fortissima empatia con i presenti: cercavamo conforto in uno sguardo. Alla lunga ha prevalso il silenzio: si cercava di interpretare i rumori, non vedevamo la Promenade e potevamo solo avanzare ipotesi. Una coltre di panico aveva avvolto ormai il bar: allora anche io sono piombata nel silenzio, ho pensato “capitasse quel che deve capitare”. Avevo troppe domande e nessuna risposta».

Dopo quanto tempo siete riuscite a tornare a casa?

«Verso le 23.45 qualcuno ha iniziato a uscire dal bar: in quel momento è subentrata l’ansia. Ho abbandonato il locale a fatica, e abbiamo iniziato a seguire un percorso obbligatorio, con polizia a ogni angolo. Ricordo gli occhi che spuntavano dalle vetrine delle attività commerciali nelle quali in tanti si erano rintanati: mi ha colpito un ragazzo, che mise fuori la testa da un pub al momento del nostro passaggio, si guardò intorno e senza chieder nulla tornò dentro. Siamo tornate a casa e abbiamo trascorso una notte insonne».

Solo allora avete visto i primi tg e letto cosa era effettivamente successo?

«Sì. E la reazione è stata questa: siamo state un giorno in casa, con le tapparelle abbassate. Siamo state in totale silenzio tra divano e cucina: il giorno dopo siamo uscite per andare in un supermercato a fare la spesa. Solo allora ho realizzato davvero come era mutata la quotidianità: le persone compravano tutto ciò che trovavano, io stessa non sapevo cosa comprare. Avevo solo una sensazione: quella di essere state estremamente fortunate. Lo ammetto, al momento non ho ancora superato l’ansia dettata da quella notte. Qualche giorno fa, a Barletta, un gruppo di ragazzini ha urlato per strada e mi sono spaventata in maniera immotivata».

Qual è stata la prima cosa che hai fatto al tuo ritorno?

«Appena sono scesa dal treno che mi ha riportato a Barletta, ho subito cercato con lo sguardo mia madre e mio padre: li ho stretti a me, è stato il primo momento in cui mi sono sentita finalmente protetta. In quei giorni avevo ricevuto tante telefonate, tantissimi messaggi, anche da persone con cui non ho un rapporto molto stretto: in quei momenti capita spesso di pensare che il mondo fa schifo, e anche un minimo messaggio di sostegno è fondamentale. Ora vivo con l’ansia di prendere il treno, di poter viaggiare, di conoscere persone nuove: quando leggi notizie di stragi, ci stai male ma dopo qualche ora hai già metabolizzato. Quando invece la vivi in prima persona, è tutta un’altra storia».

Prima di partire, sei tornata sulla Promenade?

«L’ho fatto alle 11 di mattina di lunedì, poche ore prima di partire. La prima cosa che ho notato sono state le macchie di sangue per terra. Procedendo, ho trovato fiori, dediche, foto di persone che non c’erano più: k’ sono scoppiata a piangere».

Avevate mai avvertito una sensazione di insicurezza nei giorni precedenti a Nizza?

«Solo durante gli Europei, ma mai mi sarei aspettata che qualcosa potesse accadere nel giorno della festa nazionale. Per esempio, avevamo deciso di vedere una partita nella Fan Zone. Non dimentico una scena: c’era seduto davanti a noi un ragazzo barbuto e con una sacca che conteneva un oggetto lungo e stretto. Fissava costantemente un punto. Ecco, dopo qualche minuto la mia amica mi ha manifestato la voglia di allontanarsi da quel posto: le ho dato ascolto. Nel momento in cui ci stavamo spostando, quest’uomo aveva estratto dal suo zaino un flauto. Spesso le apparenze ingannano: sono reazioni figlie dell’epoca che viviamo».

I tuoi studi hanno a che fare con la mediazione culturale: quanto c’è di più necessario in questo momento?

«Il mio sogno fino a qualche mese fa era quello di diventare interprete di conferenza: negli ultimi tempi ho però realizzato di voler fare qualcosa di diverso. Vivere e trovare un lavoro che mi possa permettere di conoscere il mondo e le culture dal di dentro».

Sai che, comunque vada, tra 10, 20 o 30 anni, sarai stata testimone di un pezzo di storia?

«Penso proprio di sì. E sarò contenta di esserlo. E’ solo con la testimonianza che si può evitare che gli errori si ripetano. Siamo testimoni di un lutto universale: poco conta che sia avvenuto in Francia, in Germania o altrove. Toccano tutti. Una mia amica due giorni fa mi diceva di non voler fare figli per non farli vivere in questo mondo di m….Ecco, questo è sbagliato: dare alla luce un bambino, trasmettergli i propri valori e far sì che nasca e combatta per migliorare il mondo. Questa sarebbe la vera vittoria».

Tu eri già stata in Francia: la vera forza sarà tornarci?

«Ero già stata a Cannes, Montecarlo e Le Bourg-Dun. Non tornarci sarebbe darla vinta a chi vuole farci vivere nella follia e nel terrore. Io ho avuto la fortuna di sopravvivere: chi si è salvato deve dare un messaggio chiaro. Bisogna continuare, andare avanti, inseguire i propri sogni. E a Nizza ci tornerò: poco, ma sicuro».

 

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