Per oltre due mesi e mezzo, dai primi giorni di marzo fino alla fine dello scorso mese di maggio, la Nazione tutta e’ stata  “paralizzata” da un mostro silente chiamato COVID – 19, ovvero da quel virus che, in poche settimane, ha seminato morte, ansia, panico, incredulita’, pessimismo,malinconia, dolore.

In un “fazzoletto temporale” gli italiani si sono visti costretti a ridimensionare drasticamente il loro modus vivendi, rinunciando quasi completamente alla liberta’ di movimento e trascorrendo gran parte delle loro giornate tra le mura domestiche.Anche lo sport,  ovvero una delle principali attivita’ sociali, in ottemperanza ai Decreti emanati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha dovuto interrompere qualsivoglia attivita’ (agonistica, formativa, ricreativa) in attesa di un decremento epidemiologico. Il tennistavolo, inizialmente considerato “disciplina priva di contatto” ( nell’espletamento di qualsivoglia attivita’ pongistica i giocatori rispettano piu’ che scrupolosamente il distanziamento fisico dal momento che il tavolo da gioco e’ lungo ben m .2.74) ha finito col subire il destino crudele di tutti gli altri sports, costretti alla subitanea sospensione dal rapido propagarsi dell’epidemia e dalla conseguente chiusura di tutte le strutture sportive (palestre scolastiche, palazzetti, impianti privati).
Oltre seicento societa’ sportive di tennistavolo (operanti sull’intero territorio nazionale), diverse migliaia di giocatori e centinaia di allenatori sono rimaste ferme ai box,riponendo nel cassetto le legittime ambizioni agonistiche di un’intera stagione e le sacrosante velleita’ in ambito formativo.Per il dilettantismo sportivo nazionale (del quale il tennistavolo e’ una delle piu’ autorevoli espressioni) ha avuto inizio un periodo caratterizzato dalla mestizia,dalla precarieta’ economica, dallo sconcerto.Dopo oltre due mesi di assoluta inattivita’, quando ormai tutto sembrava drammaticamente compromesso per l’associazionismo dilettantistico italiano (e quindi anche per il tennistavolo, uno delle discipline  piu’ povere del panorama nazionale), quando la parte piu’ pura e meno opulenta dello sport italiano si appropinquava ad imboccare il viale del tramonto, all’orizzonte si e’ profilata una piccola grande chanche :con un D.P.C.M, emanato lo scorso 17 maggio, il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora ha disposto la riapertura di tutte le palestre (sia pubbliche che private) a partire dal 25 maggio.L”associazionismo sportivo dilettantistico, costretto ad un lungo stop dall’emergenza sanitaria, ha potuto finalmente fare rientro nelle strutture tornate al normale funzionamento.A questo punto e’ assolutamente doveroso sottolineare che il tanto sospirato “ritorno alla normalita’ ” ha avuto luogo ma non in tutte le citta’ italiane.Tra i comuni attanagliati da una burocrazia paralizzante figura, purtroppo, la Citta’ della Disfida.Nonostante sia trascorso oltre un mese dall’emanazione del D.P.C.M. e dal successivo placet da parte della Regione Puglia, le locali Autorita’ impediscono ancora a tutti i sodalizi sportivi di potere riprendere la necessaria attivita’ di preparazione preagonistica.
Dopo tre mesi di assoluta inattivita’, dopo tre mesi di mancati introiti (perdita delle quote mensili di frequenza da parte di tutte le associazioni sportive dilettantistiche operanti a Barletta), il microcosmo associazionistico locale (del quale la Polisportiva Dilettantistica ACSI ONMIC Barletta e’ un’esponente meritevole di considerazione)  e’ ad un passo, davvero ad un passo dal baratro.
Il Settore Sport del Comune di Barletta, anziche’ offrire un supporto materiale alle associazioni impoverite dal coronavirus, ha condizionato la riapertura di tutte le strutture pubbliche, nonche’ la relativa concessione in uso delle stesse al pagamento delle  costosissime spese di sanificazione degli impianti da parte delle a.s.d. barlettane.Dinanzi ad una situazione siffatta e’ quantomeno legittimo porsi alcune domande:
1) Perche’ l’Amministrazione Comunale, al contrario di tante altri “governi cittadini” (disseminati sul territorio nazionale) che hanno riaperto gli impianti sportivi (palestre scolastiche incluse) senza onere aggiuntivo alcuno a carico delle a.s.d., vuole caricare il pesantissimo fardello delle sanificazioni sulle vulnerabili spalle delle societa’ sportive barlettane?
2) Perche’ le Autorita’ Comunali si ostinano a pretendere un onere che compete esclusivamente agli Enti proprietari degli immobili e non invece ai soggetti frutti degli stessi?
3) Perche’ in questa diatriba burocratica non si e’ registrato l’intervento della Delegazione Provinciale C.O.N.I. BAT, ne’ tantomeno quello di tutte le Federazione Sportive Nazionali  a tutela dei sodalizi sportivi (tra i quali spicca per “anzianita’ di servizio” la Pol.Dil. ACSI ONMIC Barletta) che sul suolo barlettano le rappresentano a qualsivoglia livello?
4) Perche’ l’Amministrazione Comunale, al fine di risarcire tutte le associazioni sportive dilettantistiche dell’incommensurabile danno economico provocato dalla pandemia, non ha erogato alle a s d.  un contributo simbolico ed efficace?