Anche Barletta ha cominciato a interrogarsi sulla questione proposta dal referendum costituzionale che dovrebbe svolgersi il prossimo autunno; già si sono creati diversi comitati di cittadini pro o contro la riforma proposta dal Governo, a firma del ministro Boschi e del presidente Renzi. Complessa la questione, su cui semplicisticamente bisognerà scegliere fra il Sì o il No. Proprio per cercare di portare maggiore conoscenza e informazione sul tema, abbiamo incontrato il prof. Ugo Villani, ordinario di diritto internazionale all’Università di Bari, che già in diverse occasioni ha avuto modo di affrontare la questione. Pubblichiamo di seguito la prima parte dell’intervista:

Questo referendum, su una materia molto complessa e interessante, si è trasformato in una sorta di voto pro o contro Renzi, cosa da lui cercata attraverso la personalizzazione, smentita o ripetuta in seguito: non crede che l’utilità dei referendum sia non solo nella decisione concreta, ma anche nella possibilità di discutere e comprendere un tema su cui la maggior parte delle persone non si è mai interrogata?

«Credo che un referendum sia un reale momento di vita democratica, uno strumento di partecipazione diretta dei cittadini molto importante e utile: è chiaro che affinché questo strumento adempia appieno al suo ruolo di strumento partecipativo del popolo, necessita di una corretta e completa informazione sul tema che si va a discutere. In questo particolare caso poi si tratta di una riforma di sistema, piaccia o non piaccia, che riguarda una pluralità di argomenti; non è come il referendum sul divorzio con una domanda secca e la risposta facilmente distinguibile fra il Sì o il No. Qui siamo di fronte ad una riforma estremamente complessa che, dunque, merita una riflessione profonda. Ricordo che si tratta di un referendum costituzionale, che dunque non richiede il quorum del 50% +1 e perciò sortirà i propri effetti comunque. Altra riflessione di critica riguarda la personalizzazione di questo referendum fatta dal premier, per cui si rischia di banalizzare in un voto pro o contro Renzi, mentre si tratta di una riforma che interviene sui principi cardini della Repubblica. Questo mi pare un po’ gretto e meschino; questi cambiamenti, che riguardano praticamente la II parte della Costituzione, si riflettono di fatto sui Principi espressi nella I parte. Le Costituzioni, quindi, sono fatte per durare a lungo quali che siano i Governi del momento: i Governi passano , le Costituzioni restano. L’Assemblea Costituente, nata proprio dalla collaborazione delle tre grandi aree ideologiche di quegli anni (comunista, cattolica e liberale) seppe andare oltre il pur forte scontro tra le forze politiche, ma un conto era il confronto diretto tra i partiti e un conto la stesura delle regole comuni. Questo è quello che fecero i veri statisti di allora, e ciò fa riflettere invece sulle mezze figure che abbiamo oggi. Confondere i due piani vuol dire immiserire il discorso, che invece necessita di motivare le scelte che si andranno a prendere».

Intervista al prof. Ugo Villani
Intervista al prof. Ugo Villani

È un tema su cui si discute da decenni, da cui l’ultimo tentativo di riforma, passato attraverso referendum poi fallito, è avvenuto nel 2006 con il governo Berlusconi: non teme che una bocciatura di questo referendum possa fare slittare di molto tempo ancora una riforma che in un modo o nell’altro urge di essere affrontata?

«Si dice continuamente che «la Costituzione va cambiata ma non si fa mai nulla»: sul testo possiamo leggere invece di continui cambiamenti sui singoli punti, ad esempio il principio di pareggio di bilancio, la possibilità dell’estradizione per genocidio e altre ancora. Quindi, non è vero che la nostra Costituzione sia ferma al 1948; cambiare per cambiare non sempre produce risultati positivi, e non lo dico perché sono un conservatore, ma la nostra Carta è invidiata anche all’estero per i principi innovatori che la ispirano. Il fatto che sia l’Europa a chiederci di cambiare non è proprio così, questo sa più di mera propaganda politica: c’è il principio del rispetto dell’identità degli Stati. Poi, si dice che uno dei motivi fondamentali per cambiare la Costituzione sia legato alla stabilità dei governi perché troppi se ne sono succeduti in questi anni, ma bisogna chiedersi se sono cambiati per come è impostata la Costituzione o perché qualcuno ha detto “Enrico stai sereno”, dunque per le faide interne agli stessi partiti».

Tanti gli argomenti, forse troppi, su cui interviene nello specifico questa riforma costituzionale. Con lei non possiamo che iniziare con un raffronto con i principali paesi europei.

«Sono tutte realtà differenti, con meccanismi diversi: la Francia ha cambiato più volte la sua Costituzione, la Germania ha da tempo un sistema bicamerale con una Camera rappresentativa degli enti locali. Riguardo a questo vorrei dire che ogni Paese ha una propria tradizione, le proprie esigenze: i modelli stranieri possono essere utili tecnicamente, ma sono le proprie realtà interne che bisogna considerare. Guardiamo gli esempi stranieri soltanto quando ci fa più comodo. Inoltre, vorrei aggiungere un esempio: quando qualche anno fa si parlava di maggioritario e proporzionale, portando come esempio l’Inghilterra, rispondevo che le realtà interne sono estremamente diverse; l’Italia con la sua ricchezza di diversità politiche meritava più un discorso proporzionale che non è una “degenerazione partitocratica”».

continua…