
Grazia Dibenedetto in arte “Grace” è una donna 3.0 con il mito della donna del passato, l’1.0. Grace è una cantante barlettana, con una voce straordinaria che, in un progetto fortemente ambizioso e lodevole, ha descritto le donne attraverso la musica. Al giorno d’oggi la figura femminile è fortemente rivoluzionata e rivoluzionante, presa tra la voglia di mettere a frutto le sue innumerevoli potenzialità e il dubbio di non farcela, tra il desiderio di perfezione ed il terrore dell’errore. Una donna combattuta, in continua lotta con il suo “io” e con la società. Una donna immensa, fotografata nel progetto di Grace, intitolato “Grace Donna 3.0”, dove le figure femminili vengono interpretate in musica, colte in ruoli sempre diversi e sempre ricchi di fascino. In occasione dell’imminente Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, abbiamo deciso che fosse proprio Grace a raccontarci del suo progetto, nel desiderio di rendere omaggio a tutte le donne 3.0, ma in fondo sempre un pò 1.0.
Grace Donna 3.0, quando e come nasce un progetto musicale ed emozionale così articolato? In che modo hai selezionato i brani e gli artisti da inserire in questo percorso?
«Grace Donna 3.0 nasce insieme alle mie canzoni, quando ho deciso di parlare alla mia generazione (la donna 3.0), a chi vive le mie stesse vicissitudini, a chi si fa le mie stesse domande, senza mai avere risposta, perché questa società ti risponde solo quando fa le comodo e se lo fa spesso le risposte sono distorte da “meccanismi di sistema” tacitamente consolidati, perciò la verità devi scoprirla e affrontarla da sola e con molto coraggio devi anche agire. La canzone è sicuramente uno strumento utile ed efficace per dire ciò che pensi, con la stessa forza di un eroe in battaglia. Sì perché siamo ancora in battaglia. Le giovani donne lottano ancora, certo in modo diverso perché cambiano le problematiche, si evolvono…ma la guerra non è mai finita. Ho selezionato i brani di questo percorso grazie ad uno studio e una ricerca approfondita, non solo del quadro sociale italiano a partire dal dopoguerra ad oggi ma anche dei canali di comunicazioni e delle forme d’espressione attraverso cui si rifletteva il modus vivendi di ogni periodo. Nello specifico io ho scelto la musica, ossia canzoni da cui estrapolare storie di donne semplici come me, donne forti che vivono la realtà di tutti i giorni con determinazione».
Che tipo di evoluzione ha interessato la donna dalla generazione 1.0 al 3.0?
«La donna 1.0 è la donna del dopoguerra, quella che si rialza con forza e gestisce una famiglia con una consistente prole. Donna 1.0 vive per i suoi figli e l’uomo che ha sposato. È stanca da morire ma è felice e vive per i suoi cari. Attende suo marito di ritorno dal lavoro, per tutta la vita. Donna 2.0 è la donna che dopo la rivoluzione sessantottina, alla soglia degli anni ’70 comincia a sentirsi insoddisfatta e ha voglia di dedicarsi un po’ a sé stessa. Negli anni ’80 raggiunge un modello di “donna in carriera” che va definendosi in una Italia ancora troppo divisa tra nord e sud soltanto negli anni ’90. Donna 3.0 apre il terzo millennio incarnando l’eredità di un modello di donna sola, realizzata, molto colta e intraprendente, che può anche vivere senza un uomo. Però la situazione è un po’ diversa dai “mitici” anni ’80 e dagli anni ’90; ormai non basta più avere una laurea e tanto coraggio: l’Italia fa ancora fatica ad accettare che sia una donna a gestire un’azienda o ad avere ruoli di responsabilità e poi la precarietà fa da padrone. Forse è meglio tornare alla donna 1.0 e affidarsi a un uomo benestante che ci voglia bene e affidarsi a lui? Oppure continuare a combattere?».
Il tuo è un progetto musicale, dove l’arte è dalla parte delle donne, in un percorso interiore nel mondo femminile, quali sono le fragilità di questo universo “in rosa” al giorno d’oggi?
«La più grande difficoltà oggi sta, da una parte, nel coraggio di continuare a combattere per i propri valori in un mondo in cui tanti vedono ancora la donna in modo distorto e dall’altro cedere ai “compromessi” per una vita più “facile” e riuscire a convivere coi sensi di colpa e la paura di non aver fatto abbastanza. Poi ci sono le donne spregiudicate, quelle che se ne fregano dei giudizi altrui, nel bene e nel male. Anche questa si chiama fragilità perché tanta apparenza nasconde il dolore e la voglia di riscatto».
Si avvicina la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. A tuo parere in che modo l’arte può contribuire a sostenere una causa così nobile?
«Tantissimo. L’arte è la vita. Io dedico la mia vita all’arte da sempre, lo dimostrano i miei studi, il mio lavoro e le mie passioni. Per me l’arte può salvare il mondo dalla violenza ma soprattutto dalla sterilità di una società che ha perso consistenza per lasciare il posto al vuoto di una società che va troppo veloce e non sa ascoltare. La canzone può denunciare la violenza, può dare voce a tantissime donne fragili e sole che non possono e non sanno parlare del male che devasta la loro anima».