Beautiful woman working on a laptop at home.

La nuova fase nella gestione dell’emergenza Coronavirus prevede un graduale ritorno al lavoro di gran parte degli italiani e una lenta ripartenza di varie attività. Tuttavia ci sono dei motivi per cui il ritorno al lavoro sarà più difficile per le donne di tutta Italia. Con l’inizio della fase 2, tra gli italiani che sono tornati al lavoro il 4 maggio, il 74,8% sono uomini.
Per le donne, nonostante ci siano stati dei grossi miglioramenti nei provvedimenti elencati nel decreto annunciato il 13 maggo dal Presidente Conte, le cose si complicano per motivi sociali, culturali ed economici. Con la chiusura delle scuole e dei principali centri di aggregazione per bambini, in alcuni casi uno dei due genitori dovrà scegliere di restare a casa, con un rischio di fare molti passi indietro sul fronte dell’occupazione femminile. A questo proposito abbiamo dialogato con Antonia Sinisi coordinatrice di Cisl Bat e coordinatrice delle donne e con Annabella Corsini, presidente di “Se non ora quando” di Barletta e responsabile di uno sportello CAF.
«Innanzitutto bisogna dire che il numero di donne che lavorano a Barletta e al sud è molto inferiore rispetto al dato nazionale ed europeo- ha affermato la sindacalista Sinisi – e le scuole chiuse complicano certamente la situazione. C’è la possibilità di prendere un’aspettativa, di usufruire del buono babysitter, aumentato a 1200 euro con l’ultimo decreto, ma bisogna ammettere che si tratta ancora di una questione culturale. Abbiamo ancora un retaggio secondo cui le donne debbano lavorare fino al matrimonio, per poi dedicarsi alla famiglia. In più c’è anche un altro peso che molto spesso grava sulle spalle delle donne, ovvero la cura dei genitori, che vincola doppiamente le donne con figli. Il congedo parentale può essere sfruttato anche dagli uomini, ma generalmente ciò non accade, sia per una questione culturale, ma anche perché l’uomo ha generalmente un reddito più alto rispetto alla donna. Purtroppo questa situazione va a ricadere sull’intera famiglia, perché spesso si ha bisogno del lavoro di entrambi i genitori».
Annabella Corsini, ritiene che il buono babysitter non sarà sfruttato adeguatamente da tutti: «Se non c’è una persona di fiducia a cui la famiglia si affidava già in precedenza, ci sarà diffidenza nel far entrare in casa una persona estranea, con il rischio di contagio ancora molto elevato. Spero che i campi estivi nominati nel decreto siano organizzati su tutto il territorio italiano e resi accessibili a tutte le famiglie. Un altro problema tipico della città e del Paese è la presenza di molti lavoratori non regolari, di cui una buona fetta sono donne, che non potranno usufruire di alcun ammortizzatore sociale».
«Anche la possibilità di lavorare da casa,– ha continuato- sebbene sia un’opportunità, va molto spesso a gravare sulle donne, che devono prendersi cura dei figli e assisterli con la didattica a distanza. A volte mancano gli strumenti per permettere a più persone del nucleo familiare di svolgere attività telematiche contemporaneamente, e conosco situazioni in cui si finisce per lavorare di notte, senza la possibilità di separare il tempo da dedicare al lavoro da quello da dedicare alla famiglia, in una situazione psicologica non facile».
«Come tutte le questioni di genere, questo non è un problema solo femminile, ma un problema sociale- ha concluso Corsini- Non si può continuare a pensare che il welfare dello Stato debba essere fondato sulle donne. Sappiamo che si tratta di una situazione emergenziale, e che l’intera economia italiana sta subendo dei colpi molto duri, ma il diritto a lavorare appartiene a tutte e tutti».
Non possiamo permettere che la crisi da emergenza Coronavirus vanifichi tutti gli sforzi fatti fino ad ora nell’incoraggiare il lavoro femminile. C’è bisogno di maggiore elasticità nei confronti delle mamme lavoratrici e di maggiori investimenti. E, soprattutto, c’è bisogno di sostenere con forza quel cambiamento culturale che, con un po’ di fatica, si stava imponendo nella nostra società, ma che ora rischia un grave rallentamento, se non addirittura una battuta di arresto.