Quest’ultimo è talmente tanto piccolo nel continuum delle cose quanto significante. Oggi ci portiamo a casa “Donne e Resistenza”. Ma anche UNIONE che in egual modo è forza e coraggio. Coraggio di combattere con i nostri valori per un’Italia, un’Europa e un Mondo migliore. L’utopia è da sempre il motore del cambiamento”.
”Se le donne non avessero preso parte attivamente alla causa della Resistenza, la Resistenza sarebbe stata? Pare una domanda retorica: eppure, le stime e gli studi sulla partecipazione femminile al movimento partigiano sono ancora lontani dal dare una risposta chiara, poiché solo da pochi decenni la storiografia vi ha aperto le porte.
La ricostruzione del professor Roberto Tarantino (ANPI) – con i dati al momento disponibili – è stata in tal senso fondamentale. Molto probabilmente, più di centomila donne furono attive tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945. Furono donne coloro che accolsero nelle proprie case soldati italiani sbandati, spesso nascondendoli e proteggendoli dalla persecuzione tedesca. Furono donne coloro che, anche adolescenti, permisero le comunicazioni tra i gruppi di combattenti variamente dislocati. Furono donne coloro che, contro ogni canone del loro tempo, imbracciarono i fucili e combatterono a fianco a fianco dei loro compagni partigiani: di costoro, tuttavia, poco è rimasto e molto c’è ancora da fare per recuperare alla memoria collettiva ciò che il tempo tiranno ha già portato via e porterà via ancora.
Quei sacrifici, quelle sofferenze – che pure hanno permesso al nostro Paese di vivere ottant’anni di democrazia – stridono con i rigurgiti neofascisti che in ogni angolo d’Italia fanno sentire oggi con forza la propria voce, come ha ben illuminato la dottoressa Antonella Morga, coordinatrice dell’Osservatorio regionale sui neofascismi, unica struttura regionale apposita in Italia. Tali fenomeni hanno da un lato una matrice tutta italiana, richiamandosi esplicitamente al regime fascista e alla sua simbologia, ma vanno anche guardati secondo una prospettiva più ampia, europea e occidentale: quella dell’ascesa e della affermazione generale dei populismi di destra. Questo perché tale nuova forma della destra, nella grave situazione odierna, offre rassicurazioni, stabilità e in un certo senso anche un’identità a cui conformarsi.
Questo passa attraverso la risemantizzazione di termini fino a poco tempo fa neutri – patriota, patriottismo, nazione e orgoglio nazionale, per esempio – come ha acutamente osservato la sindaca di Andria Giovanna Bruno. Tali operazioni si insinuano e producono silenziosi cambiamenti nella percezione collettiva e sono tanto più rilevanti se consideriamo che il primo partito nel nostro Paese è quello degli astensionisti. La sindaca ha rimarcato con forza che le differenze, anche quelle di genere, non siano da negare e non si debba lasciare che tali differenze producano polarità contrapposte, ma è dalla loro complementarietà che una comunità e il suo governo possano andare avanti. Essere partigiani e partigiane oggi vuol dire non restare indifferenti, non voltarsi dall’altra parte, ma prendere parte al proprio tempo, contribuendo per quel che si può.
«Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; […] nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti» (Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, 1917)”.