A cura di Viviana Damore

In occasione della festa della mamma emergono ogni anno discussioni e tematiche ruotanti attorno all’argomento “essere donna”. Purtroppo tra le problematiche sociali più insistenti in questi ultimi anni vi è la violenza sulle donne, riccamente affrontata e rappresentata nello spettacolo teatrale “Rose Spezzate”. Abbiamo intervistato Christian Binetti, ideatore e regista di uno sceneggiato ad altissima tensione emotiva, per esplorare com’è avvenuto l’incontro tra creazione artistica ed una tematica così delicata.

“Rose spezzate “da cosa è scaturita la scelta della terminologia dell’intitolazione e della tematica stessa dello spettacolo?«La scelta della tematica, un po’ come il nome della compagnia (Cartella di legno), nascono dalla travolgente e appassionante collaborazione con una struttura minorile della mia città, che si occupa di accogliere madri in difficoltà in seguito a episodi di violenza e abbandono, esperienza che ha lasciato un segno indelebile, per le emozioni indescrivibili che ho vissuto sulla mia pelle, emozioni così profonde al punto da associare il nome del progetto, del quale facevo parte, alla mia compagnia teatrale. Il nome dello spettacolo invece, prende spunto da quello che è il simbolo per eccellenza dell’amore passionale: la rosa. Amore malato che, molto spesso, sfocia in amore violento, quello che ha bisogno di rose per farsi perdonare. Rose false, bugiarde, destinate presto ad essere spezzate».

Ha tratto spunto da storie di vita vera per l’elaborazione del suo sceneggiato?«No, sul palco le due protagoniste ferite a morte daranno voce a un immaginario racconto. Non è stato però difficile “ispirarsi”, raccogliere materiale, esaminare casi, ascoltare testimonianze di donne che hanno subito violenza. I social, i giornali, la tv e qualsiasi mezzo d’informazione riporta casi di violenza contro le donne ormai quotidianamente. Un fenomeno quindi che merita d’essere ascoltato e con i giusti mezzi fermato».

Oggi la festa della mamma, da anni ormai si affrontano in questo giorno le tematiche negative inerenti la donna, la madre e le umiliazioni da lei subite negli anni, citando una frase del suo spettacolo “Ci sarà mai una fine?”«Siamo davvero contenti di andare in scena in occasione della festa della mamma, massima espressione di femminilità per una donna, ma allo stesso tempo con un po’di stupore ci chiediamo come mai siamo tutti pronti a festeggiare e ricordare le nostre donne e poi improvvisamente a parlare di femminicidio? Mi sembra un paradosso estremo, considerando che l’omicidio è solo la punta di un iceberg di un percorso fatto di soprusi e dolore, ingiustizie e disparità di genere, tutt’oggi ancora troppo evidenti. “Ci sarà mai una fine?!”, è la battuta finale del nostro spettacolo, un finale aperto, al quale solo lo spettatore più sensibile sarà capace di darsi una risposta. Una provocazione, la nostra, che si associa ad un grido di speranza. Siamo fortemente convinti che tramite la cultura, il teatro nello specifico, si possa lanciare un messaggio concreto, di cambiamento ma soprattutto far riflettere».

 

Nella rappresentazione vi è una suddivisione tra “personaggi” (la moglie, il marito), “sentimenti” (il dolore) con uno speciale protagonista rappresentato dalla personificazione dell’anima. Cosa ha orientato questa scelta stilistica?«Nello spettacolo si evidenziano principalmente due tipi di violenza rappresentate da due coppie differenti: “violenza familiare”, quindi quotidiana, lenta, morbosa, psicologica e la “violenza sessuale”, per strada, quella selvaggia, dove la vittima non conosce il suo aggressore. Entrambe le violenze ci riportano a qualcosa di terreno, carnale, sporco. Avevo però la volontà di trasmettere un messaggio positivo, quello di far capire che nonostante tutto esiste qualcuno al quale dover dare conto: la nostra anima. L’anima è l’anello di congiunzione fra la vittima e il carnefice, tutto gira intorno a lei, alla sua personalità e il suo linguaggio è pulito, bianco, quasi fiabesco. Forse per capire meglio quello che intendo è bene citare un breve estratto dello spettacolo, la risposta finale dell’anima, credo possa offrire diversi spunti di riflessione.

Anima: perdonami, perdonami, non sono riuscita a difenderti, è colpa mia!

Noemi: avrei dovuto urlare!

Andrea: è inutile amore, io posso urlare più di te! E poi adoro tapparti la bocca!

Claudia: sarei dovuta scappare!

Davide: ti avrei rincorso amore, io ho bisogno di te! Ti prego non fare così.

Noemi: non avrei dovuto mettere quei tacchi.

Andrea: tic tac tic tac.

Anima: vento! Aria! Tempesta! Vergogna! Disperazione!

Noemi: voglio tornare cenere, perché non posso scappare?

Anima: siete solo un corpo».

Cosa si prova da attore ad interpretare l’amarezza di certe quotidianità purtroppo realmente presenti nell’intimo di alcuni nuclei familiari?«È davvero difficile, credo lo sarà ogni volta che andremo in scena, e forse non saremo mai capaci di rappresentare il dolore che una donna può provare. Un vortice di emozioni, stati d’animo e traumi che solo una donna vittima di violenza realmente conosce. Passare poi da spettacoli d’animazione per bambini a storie drammatiche di vita reale è proprio difficoltoso, entrare nel ruolo, senza mai strafare ed annoiare, rende il compito più arduo. Mi ha però personalmente commosso quello che è successo durante la nostra ultima esibizione nello scorso gennaio. Mentre eravamo in scena e io legavo con una cinta mia moglie ho visto una signora in seconda fila abbandonare il teatro e andare via, senza più rientrare, credevo che qualcosa stesse andando male, poi in realtà a fine spettacolo la stessa si è avvicinata dicendomi “Ho rivissuto tutto! Bravi, ma non potevo restare”».

Durante la vostra esibizione presso l’auditorium del S.S. Crocifisso vi erano lacrime vere negli occhi degli spettatori: cosa rappresenta questo per lei in qualità di regista?«Sapere di essere riuscito, con la nostra interpretazione ad entrare nel cuore della gente e, perché no, ad essere anche uno strumento di riflessione per far parlare di questo fenomeno, mi inorgoglisce davvero. Condivido con i miei amici della compagnia teatrale: Francesco Sinisi, Cinzia Gorgoglione, Sara Nanula, Maddalena Dibenedetto, Alessandro Galasso, questa forte passione per il teatro, spesso subordinato ad altri canali di comunicazione perché di nicchia o aperto a pochi. Il mio obiettivo era proprio questo, fare teatro ma allo stesso tempo parlare mediante esso di cose tangibili e vere come il triste fenomeno del femminicidio. Gli applausi e la commozione negli occhi della gente, sono la nostra forza, ci permettono di continuare a fare quello che più ci piace fare».