Proseguiamo l’interessante chiacchierata con il prof. Ugo Villani, ordinario di Diritto Internazionale all’Università di Bari, dopo la prima parte già pubblicata, entrando più nel merito di quelli che sono gli argomenti principali che riguardano la riforma costituzionale su cui tutti i cittadini sono chiamati ad esprimersi con il referendum che dovrebbe svolgersi il prossimo autunno.

Rendere il Senato non più eleggibile dal corpo elettorale dei cittadini andrebbe contro i principi di una democrazia parlamentare come quella italiana? Come vede la questione del “doppio incarico” che avrebbero alcuni consiglieri regionali e sindaci?

«Ritengo che la mancanza dell’elezione diretta da parte dei cittadini crei una sottrazione ulteriore di spazio elettorale, dopo che la stessa cosa è stata realizzata per i consigli provinciali; mi pare un’involuzione democratica il voler sottrarre rappresentanza ad ogni livello ai cittadini. Aggiungo che secondo l’art. 57 i consiglieri regionali sono chiamati ad eleggere al proprio interno i rappresentanti in Senato, questo continua però dicendo che costoro verranno scelti in base alle indicazioni dei cittadini elettori nella precedente tornata elettorale: queste due prescrizioni appaiono, quindi, in contraddizione tra loro. Questa non è una soluzione ma un problema: verrà sciolto da una successiva legge costituzionale. Inoltre non capisco come una persona possa fare seriamente il consigliere regionale, o peggio il sindaco, e il senatore. Il Senato è, coerentemente con il disegno generale della riforma, depotenziato: ad esempio non può dare la fiducia al Governo. Come può tuttavia un senatore “a mezzo servizio” svolgere al meglio il proprio incarico? Altro aspetto demagogico è nello sbandierato risparmio, per la verità molto relativo visto che la struttura generale del Senato rimane in piedi, come anche demagogico e per me immotivato è i fatto che si debba svolgere questo incarico gratuitamente; una cosa sono gli sprechi un’altra i costi della gestione democratica. Lasciare in piedi il Senato in modo ambiguo non pare la soluzione migliore, forse adottata per assicurarsi il voto dei senatori nel passaggio di questa riforma dalla medesima Camera: sarebbe stato meglio abolirlo del tutto a quel punto, anziché una sorta di dopolavoro. Penso al Parlamento europeo che dal 1979 non solo prevede l’elezione diretta dei cittadini ma vieta il doppio mandato nei Parlamenti nazionali: chi lavora lì deve farlo a tempo pieno».

prof. Ugo Villani
prof. Ugo Villani

Una delle principali critiche a tale riforma costituzionale le attribuiscono un senso autoritario, soprattutto nella figura di un qualunque presidente del Consiglio; per dovere di cronaca dobbiamo anche ricordare che 56 ex presidenti della Corte costituzionale e costituzionalisti che sono per il No hanno scritto nel loro documento: “non siamo tra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo”. Inoltre, questa teoria potrebbe essere smontata dalla cessazione dell’abuso da parte del Governo dei decreti legge, prevista dalla riforma, e lo stesso sarà sottoposto sempre al controllo del Senato per tutto quanto riguarda le politiche pubbliche.

«Sicuramente questa moderazione nell’uso dei decreti legge è un aspetto positivo. Nemmeno io la ritengo l’anticamera dell’autoritarismo, ma il disegno generale va sicuramente a rafforzare in maniera eccessiva i poteri dell’Esecutivo: il Governo può ottenere una corsia preferenziale in Parlamento per l’approvazione di leggi da lui stesso proposte in tempi molto brevi. Anche nei confronti delle Regioni c’è una cosiddetta clausola di supremazia con cui espropria i governi regionali di alcune materie di competenza. Inoltre, c’è la questione dell’eccessivo premio di maggioranza attribuito di fatto ad una minoranza eletta, come prevederebbe l’Italicum che dunque pare fortemente collegato alla riforma (al partito che raggiunge il 40% al primo turno, oppure al ballottaggio dove c’è storicamente una drastica diminuzione dell’elettorato). Dunque, una riforma costituzionale scritta malissimo, in maniera molto confusa, che mi preoccupa ancor di più per la compresenza con questa legge elettorale. In caso questa non ci fosse o fosse proposta in maniera diversa sarei più tranquillo: preferirei sempre all’eliminazione del bicameralismo perfetto l’eliminazione complessiva del bicameralismo, penserei di più alla Conferenza Stato-Regioni, che non si sa bene che fine farà. Con questa riforma quindi avremmo soltanto una Camera composta perlopiù di nominati e un Governo potenziato nei propri poteri; la mia paura è che davvero venga messo in discussione l’art. 1 della Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo”. Quando nel 2014 la Corte Costituzionale bocciava il Porcellum motivava con l’espropriazione della sovranità al popolo, l’impianto di questa legge è peggiore».

Sappiamo che i principali punti della riforma riguardano il numero dei componenti del Senato che diventeranno 95 elettivi più i cinque nominati dal Presidente della Repubblica; la fiducia al governo sarà consentita soltanto alla Camera dei Deputati; ci saranno due distinti procedimenti legislativi: uno bicamerale per le leggi costituzionali ed uno monocamerale per le altre leggi; verranno sottratti i poteri alle Regioni, che tuttavia avranno le rappresentanze in Senato scelte tra i loro componenti; verrà introdotto il referendum propositivo necessitante di 150.000 firme, e per quello abrogativo saranno necessarie 800.000 firme (le cifre aumentano rispetto al passato ma i cittadini sono notevolmente di più rispetto al 1948).

«La questione del procedimento legislativo in realtà è un po’ più complessa, come narra l’art. 70 della riforma: ci sono una serie di varianti ulteriori e la presenza del Senato a malapena la si giustifica; ad esempio è escluso dalla dichiarazione di guerra. Ora, a parte il fatto che spero non si dichiari mai una guerra, non capisco perché mai la Camera rappresentante delle regioni venga esautorata del diritto di decidere riguardo alla questione. Per quanto riguarda gli istituti di democrazia diretta la materia mi sembra positivamente arricchita, anche se ad esempio sulla questione del referendum propositivo il tutto viene rimandato ad una successiva legge costituzionale. Anche questo mi pare un po’ demagogico. Quindi, ci sono anche delle cose positive, però mi sembra che ciò che riguarda direttamente il Governo sia stato ben delineato, quello che riguarda le altre questioni siano soltanto promesse. Aggiungo anche che l’esautorazione delle competenze alle Regioni, non vale per le Regioni a statuto speciale, come anche è accaduto per le Province (che comunque ritengo l’esperienza più radicata e sensata), realizzando delle disuguaglianze a livello sociale per i cittadini. Il criterio che per risparmiare devo eliminare spazi necessari per la democrazia, non posso proprio accettarlo».

Nella notevole confusione, di cui sono complici anche i vari schieramenti politici che più che affrontare le questioni riguardanti la riforma sembrano voler spingere alla bocciatura di questo Governo, una cosa appare chiara: il problema principale, come riferito anche da alcuni sostenitori del Sì, è la compresenza fra questa riforma costituzionale e la legge elettorale di prossima approvazione (cosiddetto Italicum), come già ebbe modo di spiegare l’ex presidente della Camera, Luciano Violante, che tuttavia, in una recente analisi sul Huffingtonpost: «Chi è contro l’Italicum dovrebbe votare Sì per poter dare alla minoranza della Camera o del Senato la possibilità di chiedere una deliberazione preventiva di costituzionalità su questa legge elettorale».

«Questo mi pare un meccanismo un po’ troppo tortuoso: il mio auspicio è semplicemente che il prossimo 4 ottobre la Corte Costituzionale dichiari incostituzionale l’Italicum. Mi pare apprezzabile che ci sia questo controllo preventivo, ma non credo sia necessario. La legge elettorale è un vero e proprio schiaffo alla Corte costituzionale, è molto peggio del Porcellum. L’esito del 4 ottobre dovrebbe essere già chiaro».