Unica sopravvissuta al crollo di via Roma

È andato in onda su Rai 1 lo scorso sabato, nel corso della trasmissione “Speciale Tg1” il docufilm di Costanza Quatriglio “Triangle”, in cui la tragedia barlettana del crollo di via Roma viene rapportata alla strage del 1911 avvenuta a New York nell’ambito della fabbrica tessile Triangle. Il film pubblicato nel 2015, ha visto alternarsi diverse e controverse opinioni dei cittadini barlettani, “due realtà speculari e al tempo stesso contrarie, un racconto profondamente evocativo” recita una recensione sul web del film documentario. Un solo barlettano ha avuto un ruolo attivo nella troupe assemblata per la realizzazione delle riprese, Pietro Damico. Un barlettano, che ha dovuto prendere parte al racconto di una tragedia, quella che scosse la sua città nel 2011. Abbiamo voluto sapere quali fossero le sue emozioni e sensazioni al momento delle riprese.

Come si è ritrovato coinvolto nel progetto di Triangle e cosa ha provato mentre partecipava attivamente alla sua realizzazione?

«È sempre stato un mio sogno trovarmi all’interno di un set cinematografico e grazie a Daniele Cascella, regista barlettano che conosceva la regia e la produzione sono stato chiamato a far parte di questo staff in cui ho svolto il ruolo di operatore assistente alla macchina. Da unico barlettano presente ho sentito quel grande senso di responsabilità perché, nonostante avessi realizzato il mio sogno mi sono ritrovato a raccontare di una tragedia prettamente barlettana. Da buon barlettano mi sono sentito molto motivato a partecipare alla realizzazione del film. Dopo circa 25 giorni di riprese ci ho capito poco, in realtà chi coordinava tutto ed era a conoscenza del progetto finale era la regista Costanza Quatriglio. Siamo stati in varie zone della città ed ero molto molto emozionato, mentre giravamo, ma le emozioni più forti e più grandi che io abbia mai vissuto in questo contesto le ho provate quando abbiamo riunito i familiari delle vittime nella Chiesa di San Giacomo. Sentire loro che raccontavano delle verità che conoscevo, me le faceva sentire davvero sulla mia pelle e dietro la macchina più volte mi sono fortemente emozionato. Sentire dal vivo quanto hanno provato nel perdere i propri cari moltiplica l’emozione per mille. La loro rabbia, il loro rancore, la loro tristezza a pelle si percepivano.»

Cosa ha pensato quando ha visto il progetto finale?

«A distanza di tempo è stato proiettato per la prima volta il film al cinema Opera, durante la proiezione ho incontrato la troupe, ormai tutti miei amici e la regista. A fine film io (e credo tutti gli altri barlettani) non nascondo di essere rimasto deluso. Il racconto mi ha dato l’impressione di essere fortemente deviato sulla questione dello sfruttamento del lavoro femminile, visto anche il paragone con Triangle, un paragone che per me non è molto calzante. La stessa Fasanella, sopravvissuta al crollo di Barletta, nel film racconta che fossero una vera famiglia, situazione molto diversa da quanto emerso invece nel corso della tragedia di Triangle. Nelle vittime della tragedia ho visto mamme, mogli, stare lì per aiutare la propria famiglia, i proprietari dell’azienda Triangle non credo prendessero parte al lavoro, diversamente dal proprietario della maglieria barlettana che invece partecipava attivamente alle attività lavorative e che ha perso anche la figlia in questa tragedia.»

Alla luce della proiezione del film nello scorso sabato su Rai 1 nello Speciale Tg 1, cosa sente di dire?

«Sono fiero ad ogni modo di aver partecipato a questo progetto in quanto barlettano, sono fiero che Rai 1 abbia preso in carico questo film ma non nascondo il mio disappunto per la cattiva interpretazione di questa storia. Mi è dispiaciuto solo non poter condividere con nessuno l’emozione che provavo, il resto della troupe ovviamente non poteva sentire l’argomento come me.»

La Quatriglio racconta quindi un’Italia contemporanea con un occhio al passato, un occhio rivolto verso una tragedia che vide morire carbonizzate e soffocate 150 operaie nel lontano 1911 a New York. La storia barlettana però è di tutt’altra fattura. È una storia di malaedilizia e di terrore, quel terrore che rivive nella voce decisa e limpida di Mariella Fasanella, unica sopravvissuta al crollo di Barletta. Una narrazione nostalgica e al tempo stesso ricca di speranza, di fede, di amore per le compagne scomparse, di rispetto per un titolare che “prendeva parte attiva al lavoro di squadra immedesimandosi nelle operaie ed aiutando nello svolgimento delle mansioni quotidiane”. Una vicenda forse “sfruttata” quella di Barletta, usata per spostare l’attenzione sul flagello della nostra Italia contemporanea, il lavoro nero. Ma il partito del mattone è quello sempre vincente, perciò quando la colpa non è di nessuno, forse è proprio in quel momento che tutti si sentono colpevoli e preferiscono nascondersi dietro false accuse.