In occasione dell’anniversario dell’armistizio della Grande Guerra, abbiamo intervistato il regista Daniele Cascella, che negli scorsi mesi ha presentato a Barletta il cortometraggio intitolato “Addolorata e Lucia: una storia di coraggio”, incentrato sull’eccidio perpetrato dai nazisti a Barletta il 12 settembre del 1943.

Un episodio che non passò inosservato nel corso della guerra, segnando profondamente la cittadinanza, nel corso del quale furono fucilati 13 uomini, il primo eccidio per rappresaglia che i tedeschi misero in atto nel nostro Paese dopo l’armistizio. La fortuna volle che sotto il cumulo degli uomini assassinati, un giovane vigile urbano fosse ancora vivo: Francesco Paolo Falconetti. A salvarlo furono Addolorata Sardella e l’amica Lucia Corposanto due donne tenaci e coraggiose. La storia raccontata da Daniele Cascella nel corto realizzato con l’Istituto d’istruzione secondaria superiore Michele Dellaquila di San Ferdinando di Puglia, con la fotografia di Pietro Damico, è proprio quella del salvataggio, una storia di coraggio nel terrore di quei giorni indimenticabili per Barletta, per l’Italia e per il mondo intero.

Quando ha deciso di realizzare un cortometraggio ispirato all’eccidio perpetrato dai nazisti a Barletta e perché?

«Già durante lo scorso anno con la scolaresca dell’istituto Dellaquila di San Ferdinando di Puglia avevamo realizzato un cortometraggio incentrato sulla figura di Emidio Mastrodomenico, un partigiano di San Ferdinando, ucciso a Milano e lasciato con altri 14 uomini a morire al sole in piazzale Loreto. Il cortometraggio da noi realizzato ha avuto un grande successo, è stato infatti vincitore di numerosi premi tra cui uno particolarissimo conferitoci a Spoleto dai detenuti del carcere. Quest’anno, dopo l’esperienza positiva dello scorso anno, abbiamo deciso di incentrare il laboratorio cinematografico sull’episodio dell’eccidio nazista di Barletta durante la Seconda Guerra Mondiale e sull’esperienza coraggiosa delle due donne che portarono in salvo il vigile rimasto vivo nonostante la fucilazione».

Una storia toccante, da quale prospettiva avete scelto di rappresentarla?

«Monsignor Damato con il suo libro incentrato sull’episodio racconta l’esperienza di quei giorni, con un unico vero errore: giustificare l’eccidio in virtù della sparatoria avvenuta per impedire ai tedeschi di entrare in città, nel corso della quale alcuni di loro restarono feriti. I tre tedeschi arrivano in piazza Roma dov’era presente un ospedale militare e lì un tenente sparò alle spalle un tedesco, l’altro dei tre tedeschi scappò in una macelleria dove fu successivamente ucciso. Un prigioniero tedesco passò nei pressi dell’area in cui era avvenuta la sparatoria. Il giorno seguente i tedeschi riuscirono ad entrare a Barletta con probabilmente l’ordine di occupare la città. Insomma, quello che abbiamo raccontato fu un giorno particolare in momento storico molto grave nel quale tutti avevano paura, così ho deciso di concentrarmi sulla storia di Addolorata Sardella che si trovava precedentemente nel rifugio. È domenica mattina, un giorno di festa e la donna nel momento in cui esce dal rifugio per andare verso casa dei genitori si accorge dell’uomo ancora vivo sotto gli altri corpi e inizia a chiedere aiuto. Quasi tutti le chiudono la porta in faccia, così per tre volte andrà avanti e indietro dal piazzale delle poste al giardino di casa sua, quando trova finalmente Lucia Corposanto con lei riesce a trasportare il corpo dell’uomo nel giardino di casa sua: sarà lì che l’uomo verrà curato».

Come ha ricostruito con precisione storica gli eventi di quel giorno?

«In quei giorni furono uccisi parecchi civili tra cui anche dei bambini, furono uccisi una trentina di militari e in particolare non si può dimenticare il tragico episodio di Tonino Lorusso, assassinato per aver lanciato un sasso, la cui madre fu protagonista di una straziante scena di dolore nel corso della quale tentò di rimettergli le budella all’interno del corpo. Per ricostruire l’episodio ho seguito dei lunghi studi storici, innanzitutto ho letto numerose fonti, tra cui il libro di Monsignor Damato, che ricollegava l’eccidil con lo scontro tra il colonnello Grasso e i nazisti, mi sono relazionato con i parenti delle vittime e dei protagonisti di questa storia. Parlare con loro è stato toccante e mi sono reso conto di quanto il dolore sia ancora vivo anche nelle generazioni successive a quelle dei diretti protagonisti. Addolorata Sardella morì nel 1964, a quarant’anni, l’unico figlio che ebbe non ricordava molto della storia. Lucia Corposanto fu un’attivista politica, è morta dopo il 2000 e ci siamo confrontati, in passato. Rapportarsi con la storia, con chi è stato toccato da vicino da questi episodi è in realtà abbastanza complesso. Bisogna avere rispetto. Mi è capitato di recarmi in uno studio di avvocatura e di trovarvi una foto dell’eccidio, di una nipote di una delle vittime. Il bisogno del ricordo racconta di una ferita ancora aperta».

Qual è la sua idea di questa strage?

«Questa è stata una delle prime stragi dopo l’8 settembre che hanno interessato dei civili al Sud. Non bisogna pensare alla lotta partigiana durante la guerra come ad un fenomeno che non ci è appartenuto. La resistenza ci fu e vide i suoi uomini schierati anche al Sud. Diverse furono le stragi perpetrate qui, tanto che la città di Barletta, appartiene al famoso Armadio delle vergogne. Subito dopo la guerra dalla Procura Militare infatti furono aperte diverse indagini sulle stragi e numerosi documenti furono riposti in un armadio subito dopo girato con le ante verso il muro: l’armadio della vergogna. Un armadio poi rigirato solo nel 1994, quando furono ripresi e studiati i fascicoli».

Cosa ha provato a girare un cortometraggio con il carico di responsabilità della verità storica, del rispetto per le persone coinvolte?

«A volte i ricordi sono un po’ in bianco e nero e la storia che andavamo a raccontare era una storia di dolore. Il colore era un aiuto che ci portasse verso un percorso emotivo di ricordo ed emozione. Inizialmente mi spingeva una domanda insistente “Perché Barletta non si è mai raccontata a livello filmico o di fiction?”. Sentivo la Storia, i decenni passati e sulle mie spalle avevo la voglia di farlo. Sino ad oggi sono passati quasi ottant’anni, ma il ricordo del dolore di quel giorno è ancora vivo ed è impossibile trascurarlo».