Non è difficile ricordarlo! Dal quel 1 ottobre 2000, in cui, in Uganda, il missionario comboniano Padre Raffaele Di Bari, nativo di Barletta, fu ucciso mentre si recava in un villaggio per celebrare la messa, si può dire che ogni anno viene ricordato con diverse iniziative a cura dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie (con celebrazioni liturgiche, articoli di giornale, veglie di preghiera, convegni). Non di meno la società civile (con pubblicazioni di varie testate giornalistiche, intitolazione di una strada e di una scuola nella sua città natale)!

 

Di recente è scesa in campo l’Editrice Rotas con un nuovo progetto editoriale: un calendario dal titolo “Un cuore grande. Un anno con padre Raffaele Di Bari missionario comboniano barlettano” realizzato in collaborazione con nove parrocchie di Barletta  (Buon Pastore, San Benedetto , San Giacomo, San Nicola, San Paolo apostolo, Santa Lucia, Santissimo Crocifisso, Sant’Agostino, Santo Sepolcro). Il progetto grafico, oltre ad una pagina personalizzata con tutti gli appuntamenti di ciascuna parrocchia, ripercorre in modo significativo, accattivante per l’ampio corredo fotografico, la vita del missionario comboniano facendo da apripista al 20° anniversario del martirio del religioso.

 

Mese dopo mese, attraverso immagini a colori e in bianco e nero e testi tratti dai suoi scritti, viene ricostruita l’alta statura religiosa e spirituale, ma anche sociale,  di Padre Raffaele, il sacerdote al servizio del Vangelo del Carità tra la sua gente,  che ha combattuto il fenomeno dei bambini soldato, ha introdotto nuove coltivazioni, ha promosso corsi di formazione al lavoro e all’istruzione.

 

E nel calendario,  è riportata integralmente una pagina, nella quale è fatta una sintesi della sua biografia e personalità, in cui sono richiamati gli ultimi istanti della sua esistenza,  tratta da un libro a lui dedicato, (“Loribamoi. Padre Raffaele Di Bari, una vita per l’Africa”, a cura di Ruggiero Caporusso, Editrice Rotas, 2010):

 

«La fatale mattina di domenica 1° ottobre 2000,  la mano crudele della morte privò la comunità degli Acholi e l’intera comunità cristiana dell’Uganda del Nord del più devoto pastore e servo di Dio, padre Raffaele Di Bari, affettuosamente conosciuto da molti come padre “Raffà”, “Loribamoi” o “Adeo”. Da ragazzo Raffaele fu profondamente colpito dalla testimonianza di un missionario comboniano che visitò la sua parrocchia e, dopo brevissimo tempo, entrò nel seminario di Troia. Egli fu ordinato  sacerdote  il  26  maggio 1956 e giunse in Uganda nel 1959 dove rimase ininterrottamente fino al giorno della sua morte avvenuta per mano dell’LRA, un gruppo ribelle armato capeggiato da Joseph Konj, nella contea di Aruu, distretto di Kitgum.

 

Padre Raffaele si distinse per il suo carattere espansivo,  la  sua generosità,  il suo spirito disponibile e volenteroso. Era creativo, pieno di iniziative, ben voluto, amato e ricercato dalla gente a motivo del suo carattere gioviale, e del suo buon cuore. Era assolutamente incapace di dire NO. […]

 

La domenica della sua morte, Giuseppina Bakhita del Sudan – dove erano di base i ribelli dell’LRA che uccisero padre Raffaele – fu canonizzata a Roma. Quella mattina, dopo essere stato rassicurato dal comando militare locale sulla sicurezza nel tragitto, padre Raffaele salì a bordo di una Land Cruiser con una suora, un ministrante e altri sei passeggeri, diretto alla cappella di Acholibur per celebrare la Messa e amministrare alcuni battesimi. A 5 km dalla Missione, i ribelli tesero un agguato. Padre Raffaele rallentò per permettere ai suoi passeggeri la fuga, ma fu colpito quasi immediatamente e morì dopo aver mormorato solo qualche parola.

 

Dei suoi passeggeri, una donna fu uccisa, il ministrante fu rapito, alla suora fu permesso di allontanarsi, mentre il resto fuggì. Dopo avergli rubato l’orologio, i ribelli diedero fuoco alla macchina e fuggirono. A causa della paura, del terrore, fu solo due ore  dopo  che  alcune persone vennero da quella missione a consegnare alla parrocchia di Pajule quel che restava del corpo bruciato di padre Raffaele».

 

Riportato anche uno scritto del comboniano, ritrovato nella sua stanza, con il titolo “Sogno”:

 

 

«Viaggiare senza paura di imboscate.

 

Passare una notte senza sentire spari.

 

Vedere la gente andare nei campi senza paura.

 

Vedere i bambini rapiti, restituiti ai genitori.

 

Vedere un maestro che insegna in un’aula e non sotto una pianta.

 

Vedere la gente del posto protagonista del proprio sviluppo.

 

Vedere gli ammalati con un’adeguata assistenza.

 

Vedere un’assemblea liturgica riunita senza paura di assalti

 

e che loda Dio con canti di gioia».