Ogni anno centinaia di universitari barlettani partono per trascorrere un periodo di studi presso un’università straniera. Ma che fare quando la serenità di questa esperienza formativa viene bruscamente interrotta dallo scoppio di una pandemia globale? Possiamo solo immaginare come si sentano gli italiani all’estero in questo momento, lontani dalle loro famiglie e in Paesi che hanno, almeno inizialmente, trascurato l’entità della crisi che ha ormai colpito quasi il mondo intero.
Per capire il loro punto di vista, abbiamo intervistato tre giovani studenti barlettani che perseguono i loro studi in Spagna, nel Regno Unito e in Portogallo.
La prima questione che si pone quando ci si trova in una situazione del genere è la scelta tra tornare a casa o restare. Giorgia Dimiccoli, che studia presso la Anglia Ruskin University di Cambridge ha accolto il consiglio della sua università rivolto a tutti gli studenti stranieri di tornare nel proprio Paese d’origine e adesso si trova in quarantena nella sua stanza, dopo aver affrontato un viaggio per niente semplice: «Non è stata una decisione facile- ha affermato- e inizialmente avevo deciso di non tornare. Ma con la chiusura delle università e le direttive sul restare a casa mi sono resa conto che ero ormai sola e che aveva più senso rientrare a casa. C’è molta amarezza perché il mio soggiorno a Cambridge è stato interrotto all’improvviso e non sappiamo neanche se ci sarà una celebrazione per la consegna dei diplomi di laurea. Lo stesso conseguimento del titolo al momento è un punto interrogativo».
Antonio Curci, invece, studente presso la University of Dundee in Scozia si trovava in Erasmus a Barcellona da meno di un mese, quando dall’Italia sono arrivate le prime notizie riguardo lo scoppio dell’epidemia nelle regioni del nord Italia. Preferisce restare in Spagna, piuttosto che affrontare un viaggio complicato e che lo esporrebbe al rischio di contagio. «Non ci sono aerei per tornare, a meno che io non accetti di partire da Madrid, avvicinandomi di fatto alla città più colpita dall’epidemia. Sono stati predisposti dei collegamenti marittimi da Barcellona a Civitavecchia, ma non credo sia una buona idea affrontare un tale viaggio in questa situazione. Mi sento più al sicuro qui, dove io e miei coinquilini rispettiamo tutte le norme precauzionali e usciamo solo per fare la spesa».
Anche Celeste Dileo, studentessa dell’Università di Torino in Erasmus a Lisbona preferisce restare in Portogallo. «Dato il blocco aereo, per tornare dovrei effettuare scali in altri Paesi come Francia e Germania, esponendomi a un maggiore rischio di contagio o di restare bloccata». In Portogallo la situazione non è drammatica come in altri Paesi europei, ma il numero di contagiati non è trascurabile, e pertanto il Governo ha disposto l’obbligo di uscire solo per reali necessità. «Essere in quarantena è difficile, soprattutto sapendo di non poter godere di una città per me ancora da scoprire. Ma per fortuna vivo con altri ragazzi provenienti da tutto il mondo, con cui è più facile affrontare le difficoltà».
Sia Antonio che Giorgia hanno descritto la loro situazione di qualche settimana fa come surreale. Antonio era talvolta allontanato come “untore”, seppur scherzosamente. «Noi ragazzi italiani in Erasmus eravamo molto allarmati per le notizie che arrivavano dal nostro Paese, ed eravamo spaventati dai pochi provvedimenti presi.- ha detto.
«Io mi sentivo come su un altro pianeta.- ha dichiarato Giorgia– Intorno a me era tutto apparentemente calmo, ma temevo che la situazione sarebbe precipitata come in Italia».
Così, tra ansia e preoccupazioni, i nostri concittadini all’estero si adattano a una nuova quotidianità, con il supporto dei loro compagni di sventura. In fondo, le relazioni che si creano durante un soggiorno di studio lontani da casa costituiscono uno degli aspetti più importanti dell’esperienza, e possono aiutare ad affrontare anche momenti difficili come questo.