Al fine di evidenziare l’utile dibattito che sempre un referendum suscita tra la popolazione-elettori, il 20 e 21 settembre siamo chiamati ad esprimerci sul cosiddetto “taglio dei parlamentari”; per questo, avevamo già raccolto la riflessione del barlettano prof. Villani a favore del No. Abbiamo incontrato il barlettano sen. Ruggiero Quarto del Movimento 5 Stelle, formazione politica che lo ha proposto, quindi in favore del Sì.

Nato come un movimento anti-casta, il M5S ha sempre fatto del “taglio dei parlamentari” un proprio cavallo di battaglia: sono anni che si parla del risparmio della ‘spesa della politica’ romana, ma l’effettivo risparmio sarà di circa 57 milioni di euro all’anno (come calcolato dall’Osservatorio dei conti pubblici di Carlo Cottarelli). Il gioco vale la candela?

«La riduzione dei costi della politica è sempre stato un punto programmatico del M5S. È, poi, questione etica prima ancora che economica. Lo si capisce ancor più nell’attuale momento pandemico, con tanta gente in difficoltà. Noi stessi continuiamo a tagliarci le indennità mensili, sin dall’entrata in Parlamento nel 2013, restituendo alla collettività, e vogliamo fortemente una legge minima e veloce che riduca il compenso a tutti i parlamentari. Uno degli effetti del referendum sarà quello di ridurre il costo della spesa pubblica. Il risparmio va ben oltre gli 80 milioni di euro annui, visto che si renderà necessaria anche una rimodulazione delle Commissioni parlamentari. Le risorse risparmiate saranno disponibili per migliorare l’efficienza delle Istituzioni».

Non si rischia di danneggiare i partiti minori, che spesso sono quelli in grado di portare i nuovi “argomenti” nella politica? La rappresentatività delle diverse regioni, non verrebbe più garantita allo stesso modo in Parlamento (la Basilicata perderebbe circa il 45% dei rappresentanti – la Puglia il 38%) .

«La presenza dei partiti minori in parlamento dipende dalla legge elettorale. Noi abbiamo proposto una legge elettorale proporzionale con sbarramento. In tal modo si assicura una rappresentanza parlamentare senza premi per le formazioni maggiori, ma che evita un’estrema frammentazione del quadro politico. Per quel che concerne la rappresentatività delle varie regioni, viene rimodulata in base alla popolazione residente. Con la riforma si eleggerà in media un parlamentare ogni 100.000 cittadini, allineandosi con le maggiori democrazie europee; un deputato ogni circa 150.000 abitanti e un senatore ogni circa 300.000. La Basilicata ne eleggerà uno rispettivamente ogni 100.000 e 200.000 abitanti, un rapporto eletti/popolazione migliore rispetto alle regioni più grandi».

Un esempio, che viene spesso utilizzato dai sostenitori del No, riguarda l’elezione del Presidente della Repubblica, perché il pallino sarebbe in mano maggiormente di alcune regioni del Nord; altra questione, riguarda l’organizzazione interna delle Commissioni parlamentari. Siamo sicuri che per un caffè all’anno per cittadino, si voglia stravolgere l’assetto istituzionale di una Repubblica, ricordiamolo, parlamentare? Non si poteva cercare una riforma complessiva, per cui si sono detti favorevoli anche molti sostenitori del No?

«Non si stravolge alcun assetto istituzionale, cosa che faceva l’abnorme riforma Renzi-Boschi, sonoramente bocciata dalla maggioranza degli italiani nel 2016, e quella altrettanto pessima di Berlusconi del 2006, anch’essa bocciata. Si opera una riforma puntuale, chirurgica, che riduce semplicemente il numero di parlamentari senza intaccare in alcun modo i principi salienti della Costituzione. Le riforme complessive i cittadini le hanno rispedite al mittente perché contengono punti inaccettabili accostati a cose condivisibili. Lo strumento delle modifiche mirate va nell’ottica di una maggiore trasparenza e di far comprendere meglio alla popolazione cosa si sta cambiando nella Costituzione, senza fargli ingoiare bocconi amari. Sull’elezione del Presidente della Repubblica, all’esito positivo del referendum confermativo, non voluto dal popolo ma da un gruppo di senatori, seguirà la riforma costituzionale per le rappresentanze regionali che verranno adeguate alla nuova composizione parlamentare».

Quanto ci si può fidare del “prima il taglio, poi le successive riforme”?

«Si renderanno necessarie le riforme dei regolamenti parlamentari e la modifica della legge elettorale, da cui dipende la rappresentanza. Siamo già al lavoro per continuare sul percorso tracciato dei correttivi mirati, come l’abolizione del CNEL, e questa settimana è in discussione la legge costituzionale per la modifica dell’elettorato attivo che consentirà il voto ai diciottenni anche per eleggere i senatori».

Barletta ha ben tre parlamentari, godendo di una buona rappresentanza, cosa che non accadeva da molti anni: la differenza si nota, bene o male. Riducendo il numero degli eletti, i territori rischiano di essere poco ascoltati?

«L’attuale rappresentanza cittadina dipende da una fortunata circostanza della presente legge elettorale. Riducendo il numero di eletti si eleva sicuramente la qualità della classe politica, perché i partiti e i movimenti saranno indotti a candidare i migliori in parlamento, evitando quelli affetti da assenteismo cronico. Il parlamentare avrà più peso politico e una maggiore responsabilità, anche nei confronti del proprio territorio, tenendo bene a mente che, come scritto in Costituzione, ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione e la sua azione politica deve essere improntata al bene collettivo dell’Italia. Ricordiamoci, poi, che al varo della Costituzione non esistevano le Regioni, che garantiscono ulteriori rappresentanze democratiche territoriali».