Se è esistita un’epoca in cui il tempo del racconto e il tempo della storia combaciano in una simmetria quasi perfetta, possiamo ritenercene già i protagonisti. Siamo pionieri di un tempo che scorre inesorabilmente lento, immobile, irripetibile, siamo già l’inchiostro delle pagine di storia del domani. Eppure c’è chi il Coronavirus ha provato a raccontarcelo e a raccontarcelo oggi, con la purezza di uno sguardo gentile sul mondo.

Parliamo di Giuseppe Arcieri, barlettano, classe ’97, che ha voluto realizzare, quasi a voler simbolicamente contrastare la tristezza di questo periodo, un cortometraggio che ha il sapore di un inno alla speranza: C’era una volta il Covid.

Studente di Nuove tecnologie dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia, Giuseppe coltiva la passione per il cinema sin da bambino, ispirato dai grandi mentori del cinema italiano (come Vittorio De Sica, Totò, Sergio Leone). «Mi immergevo completamente in quelle storie che replicavo a modo mio con i pupazzi – ha dichiarato – Ho sempre nutrito il bisogno di raccontare storie. Mi affascinava l’idea di creare mondi al cui interno muovevo i fili come un burattinaio. Crescendo la passione si è sviluppata, studiando, vedendo e collezionando sempre più film, cercando di capire quale fosse il sistema dietro la loro realizzazione».

Una passione che ha preso vita nel 2016, attraverso corsi di formazione, workshop e primi esperimenti di cortometraggio da autodidatta, fino ai concorsi e ai festival nazionali ed internazionali. Ma come è nata l’idea del cortometraggio sulla pandemia? «L’idea di C’era una volta il Covid è nata durante il lockdown – ha proseguito – il mio docente di regia ha assegnato per il suo esame la realizzazione di un cortometraggio inerente alla situazione del momento. L’ispirazione è nata mentre osservavo dal balcone di casa il mare e nonostante la distanza percepivo tutto come se fossi immerso nel suo odore, nel suo suono e in tutto ciò che in esso è riferibile. Le videochiamate col mio amico e sceneggiatore Michele Piazzolla sono state il punto chiave per la nascita della trama del corto».

Il video, della durata di 4:53 minuti, ha per protagonista un uomo di 70 anni (interpretato da Antonio Sarcinelli), ripreso durante scene di una normale e calma vita quotidiana. Per i primi minuti, il cortometraggio è suggellato dal canto del silenzio, che in questo ha funto da sottofondo propedeutico all’ascolto di un’altra voce: quella della vita.

«Il silenzio ha un’importanza immensa – ha spiegato Giuseppe –  perché ha concesso più tempo per poter apprezzare con attenzione i semplici suoni della natura e lo specchio dello stato d’animo del protagonista. Per realizzare tutto questo mi sono affidato all’esperta del suono Vittoria Diletta Filograsso. Essendo un periodo statico, abbiamo riservato questo nei primi 3 minuti dell’audio, dando poi enfasi nelle scene finali con il sonoro, con l’inserimento di un brano scelto per la sua potenza. Antonio ha avuto la capacità di poter parlare tanto praticamente senza parlare, grazie al suo essere spontaneamente espressivo, insegnandoci ad affrontare un periodo come questo con lucidità, pazienza e speranza. Per questo io e Michele abbiamo deciso di omettere i dialoghi, sfruttando il potenziale del soggetto».

Mentre i minuti del cortometraggio scorrono, eloquenti, e Antonio legge il giornale, balza subito all’attenzione una messa a fuoco, che ha l’aria d’essere un occhio di bue luminoso su alcune parole in particolare. Giuseppe ha affermato che il corto sia effettivamente denso di parole chiave: «Alcune sono da cogliere attraverso le immagini, mentre altre sono state inquadrate nella scena del giornale. I termini “cauto” e “prudenza” rispecchiano in parte le virtù di Antonio e ciò che in questa realtà alterata dalla pandemia, può aiutare ad affrontarla e vincerla. Non dobbiamo e possiamo essere egoisti. La prudenza del personaggio rispecchia quella della maggior parte dell’umanità, propensa a salvare il proprio genere, ponendo questo terribile avvenimento storico nella teca dei ricordi e fra gli insegnamenti, affinchè l’attenzione non svanisca mai. Infine l’esclamazione “O umanità!” ha il significato di speranza e aiuto verso ognuno di noi e in qualsiasi fede che possa darci conforto».

A concludere il lavoro, quasi come a librare un respiro liberatorio dopo una soffocante asfissia, la ripresa di un cavallo, libero e a briglie sciolte: «Il cavallo – ha concluso il giovane – rappresenta la personalizzazione della libertà che viene a mancare. Il messaggio di questo corto, come il titolo stesso anticipa, ha speranza nella vita e fiducia nel lieto fine».

E a noi, personaggi inermi di questa trama dalle tinte fosche, non resta allora che impegnarci, tutti insieme, per raggiungere il tanto bramato happy ending. Giuseppe ha voluto dimostrarci che, se si vuole, nulla è impossibile.

Segnaliamo la raccolta fondi indetta da Giuseppe Arcieri. Per chi vorrà vederlo, basterà donare 2 euro al link di seguito e riceverà la locandina e dal primo di gennaio il link del cortometraggio. I fondi saranno unicamente investiti in una casa di distribuzione cinematografica. Qui il link per poter donare: https://www.paypal.com/pools/c/8uxW1A4nfZ?fbclid=IwAR2iN-x4_zFbvQLtfRdwFlXvWH0WwvhgaI8UjSOTN9fo5I0-394rWJFOn2A

Il link del trailer di C’era una volta il Covidhttps://www.youtube.com/watch?v=s8vcBABbNfc&t=6s

A cura di Carol Serafino