En plein air è un’istallazione luminosa che avvolge il menhir di Canne, un’azione spontanea di protezione e valorizzazione, un esercizio di affinamento della sensibilità a leggere e ad interpretare le forme del territorio in cui viviamo: un allenamento dello sguardo, ma anche una pratica di frequentazione.

Fase 1_ L’incontro

Queste immagini ritraggono il primo esito dei nostri colloqui notturni con le campagne di Canne, e in questo caso, con una strana pietra scortecciata dai millenni.

Il Menhir di Canne, risalente all’età del bronzo, alto circa tre metri e interrato per circa un metro e mezzo, rappresenta una testimonianza tra le più significative della zona archeologica della Bassa Valle dell’Ofanto. Si tratta di un monumento megalitico costituito da una pietra allungata: un ruvido tronco lapideo eretto su un fianco, in una snella e slanciata posa verticale, nella quale riscopriamo il primitivo ingegno umano, ma al contempo la sua potente e ancestrale spiritualità.

L’ innaturale artificialità della posizione eretta è mitigata dalla naturalità della pietra la cui superficie appare inesorabilmente corrosa dal tempo. Un’arcaica ed elementare potenza simbolica giace nascosta in questa semplice pietra. Il nostro desiderio è quello di liberarla quanto più possibile.

Fase 2_L’atmosfera

Di giorno la luce rende lo scenario naturale delle campagne cannesi protagonista e l’intervento dell’uomo, così antico e radicalizzato, si fa organico, si dissolve e si armonizza con il contesto. La nostra coscienza visiva però si attiva quando siamo più sensibili a percepire un ambiente concentrandoci su pochi elementi, cogliendone i dettagli.

Nella notte, l’oscurità ci mostra il Menhir in un rapporto spaziale diverso, quasi decontestualizzato, ma alcuni appigli visivi dati dal fogliame circostante ci mantengono in un equilibrio fragilissimo.

Nella notte, grazie a una calibrata luce artificiale, la figura del menhir emerge dal suo melanconico abisso nero.

Se lo sfondo è un’ombra fitta, vuoto assoluto, buio che tutto circonda, la luce diventa “unico avvertimento della forma, segno della realtà nel suo rivelarsi”. Essa mette a fuoco il menhir, rivelando la sua corporeità, accentrando in alcuni punti la densità delle sue rughe, ritagliando la sua sagoma e mostrando in sembianze sempre diverse i suoi sfaccettati profili. La luce stessa diventa quasi corpo, ma un corpo etereo capace di ridare anima a brandelli di materia che ora appartengono ad una realtà dimenticata.

Fase 3_Lo sguardo

La fotografia è un mezzo per rapportarsi con i luoghi ed è fatta di equilibri minimi, leggerissimi. Essa seleziona gli sguardi più intensi e perspicaci. Cerchiamo con la fotografia un preciso rapporto tra noi e il fantasma, usando solo delle bianche luci al led, in una scenografia che testimoni il nostro passaggio e la nostra relazione con i luoghi.

L’occhio della camera danza intorno al menhir, cercando i punti migliori in cui collocarsi per penetrare i segreti delle sue forme, della storia e della materia, nei punti in cui la luce sembra più disposta a rivelarglieli.

Tutto intorno vi è l’angosciante densità del nero.

In questo contrasto vive la tragicità strutturale di queste immagini dal sapore caravaggesco, in cui lo spazio appare drammaticamente spaccato, diviso, frazionato tra luci e ombre, tra presenza e assenza. Esse si fanno metafora della drammaticità strutturale di un territorio denso di elementi di pregio, ma carente di una progettualità organica.

L’istallazione è dunque un gesto che vuole sottolineare l’urgente necessità di una riqualificazione territoriale che parta in primo luogo dal recupero e dalla riconnessione di alcuni luoghi ed elementi di pregio esistenti nel “Parco Paesaggistico di Canne”.

 

 

Laboratorio di Immaginazione Urbana 

Installazione temporanea e indipendente – Menhir di Canne

Massimiliano Cafagna, Francesco Delrosso, Marco Lacerenza, Saverio Rociola, Giuseppe Tupputi