Durissimo il periodo che stiamo vivendo a causa della pandemia; un inferno per chi restare in casa per molto tempo, vuol dire rischiare sofferenza, violenza per sé e per i propri figli, a volte anche la vita. Sono le donne, che tra qualche giorno celebreremo con la consueta Giornata loro dedicata: certo il tema principale dovrebbe essere quello dell’emancipazione della figura femminile in ogni campo, ad esempio professionale o politico. Ma la medaglia va vista da entrambi i lati: non si può guardare ai pur riconosciuti traguardi raggiunti da alcune donne, senza rivolgere lo sguardo ai tanti casi di violenza che rappresentano un problema culturale, oltre che sociale. Un punto di riferimento essenziale per la nostra città è quello del Centro Antiviolenza, gestito da oltre un ventennio dall’Osservatorio “Giulia e Rossella”-ONLUS; per fare il punto della situazione a Barletta dopo un anno in pandemia, con tutte le difficoltà che ne sono derivate e che vi abbiamo prontamente raccontato, incontriamo la presidente dell’associazione barlettana, Tina Arbues.

Il fenomeno della violenza nei confronti delle donne pare essersi inasprito durante questo momento pandemico, soprattutto durante i mesi di lockdown.

«Quest’anno è sembrato durare un secolo per tutti, ma in modo particolare ha scatenato un altro virus, quello della violenza contro le donne e i minori, che da anni siamo in prima linea a combattere. Le donne, come spesso accade, sono state vittime ancora più vulnerabili, anche per le conseguenze economiche e lavorative, perdendo anche quel minimo di autonomia necessaria a mantenere se stesse e i loro figli. Questo le ha messe ancor di più “sotto scacco” di un compagno violento. Si pensi che nel 2020, a livello nazionale, è stato registrato un aumento del 10.2% dei femminicidi – 54 donne hanno perso la vita per mano del marito, ex marito, compagno, ex compagno. Ancora una volta hanno pagato il prezzo più alto, nel silenzio più totale».

Durante il lockdown della scorsa primavera, avete dovuto fare i conti con il silenzio assordante della reperibilità h24, tipico del vostro importante servizio, divenuto punto di riferimento per tante donne.

«Nel mese di marzo il Centro Antiviolenza ha incontrato questa difficoltà; ma in collaborazione con i Servizi sociali comunali, guidati dall’avv. Caterina Navach, abbiamo adattato le nostre attività di accoglienza, consulenza, informazione e sensibilizzazione a questa nuova realtà: l’informazione su tutto il territorio è stata il punto di partenza. Abbiamo avviato una grande campagna di comunicazione, intitolata #restiamounite, con l’obiettivo di diffondere la notizia che il centro antiviolenza aveva ripreso a funzionare  anche durante la pandemia, già nel mese di aprile. Le donne non sono state abbandonate né da noi né dalle istituzioni locali: i contatti telefonici sono passati da 100 del mese di marzo a 400 tra aprile e maggio».

Che situazione avete incontrato in quest’anno?

«Grande smarrimento, paura da parte di queste “fragili” creature, che si rivolgevano alle nostre operatrici per la prima accoglienza, con messaggi inviati spesso di nascosto dall’uomo “carnefice”, spesso che condivideva con loro uno spazio troppo piccolo. La violenza inizia sempre con quella psicologica, per poi degenerare, attraverso le offese volte ad annullare la vittima, attraverso immagini di nullità, per poi divenire schiaffi. Molte donne aspettavano il momento per restare sole e contattarci, altre si recavano sul terrazzo per chiedere aiuto. 140 sono state le donne nel 2020, i contatti telefonici sono stati più di 2000. Oltre metà di queste donne, vittime di violenza, hanno al loro fianco degli spettatori che ogni madre vorrebbe difendere ad ogni costo: figli, molto spesso minorenni».

Come arrivano a voi?

«Si sono rivolte al Centro Antiviolenza spontaneamente, o su indicazione da parte dei familiari, per il 67.6% e per il 32.4% su invito dei Servizi dei territori (Servizi Sociali, Forze dell’Ordine, Consultori Familiari, Asl). Le donne che si sono rivolte al Centro Antiviolenza hanno dichiarato di subire violenza dal proprio coniuge per il 41.7% dei casi, mentre solo l’1.6% dei casi da parte di uno sconosciuto. Come già detto, la violenza psicologica è alla base di tutti i casi, che successivamente si sono trasformati in altro tipo: il 69.8% in violenza fisica, 95.1 % in violenza economica, 14.8% violenza sessuale, 3.3% violenza di gruppo, 10.9% stalking. I casi trattati vanno dai 18 anni ai 69, anche se la fascia più rappresentativa è quella delle quarantenni.

Grande è stato l’impegno, durante questa pandemia, da parte dei Servizi sociali comunali, sostenendo le donne e i loro figli attraverso “buoni spesa”. Spesso lo si sottovaluta, ma l’autonomia economica delle donne è un obiettivo per cui stiamo lavorando».