Group of children doing gymnastics on blue mats during physical education class at school

Sono tanti gli effetti nefasti dell’era Covid-19, un turbine di insaziabile distruzione, che tracima in diversi ambiti. Il Coronavirus ha funto e funge da lente di ingrandimento, da sonda per tutte quelle problematiche esistenti da sempre, ma che possono essere acuite dall’infezione e peggiorare inesorabilmente. Una fra queste è l’obesità, cui la Fondazione Umberto Veronesi (ma non solo) aveva dedicato un articolo non molto tempo fa. Chi è in sovrappeso infatti, secondo alcuni studi, sarebbe soggetto ad un rischio più elevato una volta contratto il virus. “Tra i primi a ipotizzare il legame in maniera più solida, i ricercatori dell’Università di Bologna, in uno studio pubblicato sull’European Journal of Endocrinology. Risultato: tra i pazienti affetti da Covid-19, un indice di massa corporea (BMI) superiore a 30 è risultato associato a un rischio maggiore di sviluppare insufficienza respiratoria, di richiedere il ricovero in terapia intensiva e di mortalità. Indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio”, si legge. Con l’intensificarsi dello smart working e con la sedentarietà forzata e indotta dai vari lockdown, la situazione è comprensibilmente degenerata, non incoraggiando una miglioria nelle condizioni fisiche e psicologiche dei soggetti coinvolti. Volendo, tuttavia, prescindere dall’ondata epidemiologica che ci ha avviluppati, sarebbe in ogni caso opportuno trovare una soluzione per persone affette da malattie come l’obesità, che andrebbero a prescindere aiutate e tutelate.

Ne abbiamo parlato con il personal trainer barlettano Davide Dibitonto, per avere qualche delucidazione in più e capire da cosa può derivare la problematica. «L’OMS ha dichiarato che nel 2030 ci sarà un incremento dell’obesità di circa il 60% in più rispetto ad oggi, nelle fasce d’età comprese fra i 10 ed i 19 anni. Il quadro che si prospetta è a dir poco allarmante ed i fattori che influiscono negativamente sono molteplici. In primis le cattive abitudini alimentari, molto spesso condizionate da pubblicità che influenzano e indirizzano verso l’acquisto di alimenti ultra-processati ricchi di grassi e poveri di sostanze che abbiano un reale apporto qualitativo a livello nutrizionale. Un altro fattore predominante è la maggiore crescita del mondo virtuale, che spinge i giovani a socializzare più tramite smartphone e videogames piuttosto che in spazi aperti con attività di tipo ludico-motorio che li arricchiscano a livello motorio, sul piano della socializzazione e che andrebbero a contrastare i fattori di rischio dell’obesità, grazie ad un dispendio energetico che non si otterrebbe stando seduti davanti ad un monitor o ad una tv».

Cosa si potrebbe fare dunque per ovviare a questa impasse? «Purtroppo, ad oggi, un’inversione di questo trend negativo sembra lontana, basti considerare che nelle scuole d’infanzia continuano a praticarsi solo 2 ore settimanali di educazione motoria, talvolta gestite da insegnanti di materie differenti che non hanno competenze. Alle poche ore a disposizione si aggiunge quindi l’incapacità di proporre una programmazione valida che possa incidere sulla crescita motoria dei ragazzi. L’obiettivo da prefiggersi per invertire questa tendenza che andrà a gravare non solo sulla salute dei singoli soggetti ma anche e soprattutto sulle spese sanitarie della collettività dev’essere affrontato su diversi fronti: 1) Una riforma scolastica che vada ad aggiungere ore di educazione motoria gestite da professori competenti; 2) L’aumento di parchi pubblici, campi sportivi, aree verdi che invoglino i più giovani a svolgere sport ed attività fisica in aree dedicate; 3) Sensibilizzare anche mediaticamente i giovani alla pratica dell’attività fisica risaltandone i benefici estetici e salutistici».

Insomma, bisognerebbe apportare una vera e propria rivoluzione, nelle abitudini legate alla quotidianità da un lato, dall’altro però non trascurare l’importanza di un cambiamento sostanziale nella gestione delle aree cittadine in primis, in secundis un reindirizzamento dell’orario scolastico. “La vera rivoluzione dobbiamo cominciare a farla dentro di noi”, ci insegnava Che Guevara. In questo caso, forse non solo.

 

A cura di Carol Serafino