Accadimenti di politica estera e interna in questo periodo sembrano intersecarsi inesorabilmente, in quella che può essere definita una fase storica con fin troppi “eguali” traboccanti di sangue. E mentre l’Italia è ancora “in affanno” (letteralmente e non) per la pandemia da Covid-19, mentre l’Ucraina vede disintegrato un sogno nazionale e la possibilità di salvare le proprie vittime, persino Barletta, un paradossale microcosmo di 92.415 abitanti, persevera nella ferinità, diventata ormai una cloaca, una culla di torture. È proprio vero che la violenza non ha limiti, non ha identità, né posizione geografica, ma risiede ovunque, si annida in animi consunti, pronta ad esondare.

Barletta l’11 aprile ha pianto nuovamente un suo concittadino, il terzo in un arco temporale di sei mesi. Giuseppe Tupputi, barbaramente assassinato nel bar in cui lavorava, Claudio Lasala, giovane ragazzo accoltellato in un cocktail bar, Michele Cilli, il 24enne scomparso: una lista di nomi già troppo lunga, casi di cronaca nera che si insidiano nelle fenditure della nostra psiche, con l’intenzione di calcificarsi.

«È venuto meno il senso del riconoscimento dell’altro, di tolleranza, vi è più la tendenza ad esaltare l’individualismo, la competizione a scapito del riconoscimento dell’alterità», ha asserito Vincenzo Gesualdo, presidente dell’Ordine degli psicologi di Puglia, commentando la drammatica dipartita dell’uomo.

Ma cosa rappresenta questo ennesimo scacco matto per Barletta? Cosa significa per la comunità che popola le sue strade, che vive i suoi angoli? Quali implicazioni psicologiche inattese possono tendere un agguato a cittadini che percepiscono la propria città come poco sicura?

Ne abbiamo parlato con Gianclaudia Dimastromatteo, psicologa e psicoterapeuta barlettana, che ha offerto ai lettori alcuni spunti di riflessione.

«L’esperienza traumatica cittadina – spiega – può sovvertire la nostra percezione della normalità e farci sentire impotenti e vulnerabili. Molti dei concittadini affermano di vivere in uno stato di continua vigilanza, come se da un momento all’altro qualcosa di imprevedibile potesse ricapitare loro. In psicologia possiamo parlare di un vero e proprio “trauma” anche in assenza di diretto contatto con l’evento e può essere uno shock anche venire a conoscenza di aggressioni e assassinii subiti da un concittadino, come in questo caso. Nella maggior parte dei casi tali reazioni sono transitorie, il cervello attua meccanismi autocurativi che, pur richiedendo tempo, riassorbono in modo naturale gli effetti principali dello shock».

Tuttavia, non è sempre così. «In altri casi – prosegue – se l’individuo ha caratteristiche di vulnerabilità ai traumi, i sintomi possono perdurare fino ad assumere i connotati del Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD). Chi ne soffre ha immagini e pensieri intrusivi legati all’evento, anche a distanza di settimane o mesi, sente ansia in situazioni simili a quelle in cui l’evento è avvenuto e perciò di solito cerca di evitarle. Molti dei soggetti che accusano tale sintomatologia biasimano se stessi per essere fragili, colpevolizzano o imputano inaffidabilità e indifferenza ai carnefici, considerano la vita una sequela di sofferenze e il futuro un problema irrisolvibile. Il trauma modifica la loro percezione della realtà e sentono di non poter più stabilire un contatto col resto del mondo».

Quali sono allora le principali reazioni a catena? «Attacchi di panico e depressione possono essere effetti collaterali e possono concorrere ad aggravare il quadro. Essi sono, rispettivamente, la conseguenza dell’ansia prolungata e della sensazione d’impotenza indotta dal trauma stesso. Ogni trauma, a prescindere da ciò che l’ha causato, spezza il legame fra l’individuo e il resto del mondo e tende a generare due particolari modi di sentire: la vulnerabilità e la sfiducia. Entrambe sono effetti simultanei del trauma, due facce della stessa medaglia. Occorre precisare però che il senso di vulnerabilità è la conseguenza più tipica di quei traumi causati da eventi naturali, mentre la sfiducia negli altri è la conseguenza più comune delle rapine, degli stupri e di altre aggressioni intenzionali».

Impotenza, diffidenza, circospezione, distanza, derealizzazione, idiosincrasia verso il prossimo: una panoramica nefanda delle conseguenze che un evento traumatico di questa statura può apportare ad un individuo e alla sua interrelazione con gli altri. Eppure lenire una tale spaccatura sociale è possibile, se ci si adopera a partire dal particolare, a partire dal singolo individuo, che può fungere da trait d’union, da “modello virtuoso”.

«Troppo semplice guardare fuori ciò che non va, lamentarsi e accusare la società. Ognuno di noi è chiamato a prendersi la responsabilità di essere un modello virtuoso, a partire dalla cura di se stesso e di agire nel bene della comunità. Viviamo in una società che sin da piccoli insegna la competizione sfrenata e non fornisce ai ragazzi e futuri cittadini strumenti per imparare a riconoscere, a comprendere e a gestire le proprie emozioni. Il benessere psicologico della persona è una delle esigenze basilari di una comunità, se il tassello di un puzzle si dovesse perdere, la visione completa del puzzle stesso creerebbe un disagio visivo. Diventa pertanto necessaria l’istituzione del servizio psicologia di base e delle cure primarie per garantire il diritto all’assistenza psicologica. Curare un disagio psicologico significa soprattutto occuparsi della totalità della comunità».

La Dottoressa Dimastromatteo propone quindi un planning di intervento per ridurre i fattori di rischio e accrescere i fattori protettivi, attraverso un lavoro di riduzione dei livelli di stress e vulnerabilità, adottando uno stile di vita sano; incoraggiando un aumento della conoscenza e consapevolezza di sé (attraverso programmi di alfabetizzazione emotiva, training autogeno); mirando all’acquisizione di nuove abilità cognitive assertive, nel promuovere modalità relazionali e di comportamento più adattive (social skills).

«Prendendo consapevolezza che ciascuno di noi è potenziale vittima e allo stesso modo possibile assassino, l’obiettivo prioritario di uno Stato democratico ed una società civile è il contrasto al fenomeno criminale: ciò è possibile soprattutto attraverso la promozione della salute mentale e della cultura dei valori. La violenza attira violenza, non delegarne la responsabilità. Sii proprio tu l’esempio virtuoso che interrompe il circolo».

 

A cura di Carol Serafino