Luca Lacerenza
«Quando ho accettato questa sfida della candidatura alla Camera dei Deputati era già evidente il vento contrario che soffiava nel Paese – così Luca Lacerenza, già candidato per queste elezioni politiche nel listino proporzionale di +Europa, risultato però non eletto, analizza il risultato guardando al suo passato nelle fila democratiche.
Eravamo appena stati scaricati, o meglio traditi, dal nostro compagno di strada con il quale avevamo costituito la federazione Azione-Più Europa. Abbiamo deciso di fare comunque la nostra parte, per quanto piccola, per quanto potesse sembrare persino velleitaria, con le nostre sole forze, perché non si scende dalla nave quando il vento è contrario.
Personalmente, per quello che vale, sono contento del risultato di Barletta e della BAT e posso solo ringraziare coloro che mi hanno accordato gratuitamente la loro fiducia, porto a casa un risultato superiore al dato regionele e a quello del 2018. Oggi tocca però prendere atto della fine di un ciclo, o forse della fine di una storia.
Ci saranno tempi e modi per analizzare più approfonditamente questa sconfitta, abbondantemente annunciata, ma alcune cose possiamo certamente dirle. Il centrosinistra e il partito più grande e rappresentativo di questo campo, il Pd, escono sconfitti da queste elezioni e probabilmente non poteva essere diversamente dopo aver governato quasi ininterrottamente negli ultimi undici anni: per la precisione nove anni e mezzo, eccezion fatta per la breve parentesi del governo giallo-verde. Senza aver mai vinto nettamente alcuna elezione. Riuscendo ad indicare ben tre dei sei presidenti del Consiglio di questi anni (Letta, Renzi, Gentiloni). Nove anni e mezzo al governo senza aver mai vinto un’elezione, su quindici anni di vita del partito stesso, sono oggettivamente troppi, sono un dato che solo chi non ha voluto vedere non ha visto.
Il male che ha logorato il Partito democratico e tutto il centrosinistra dall’interno è stato il governismo, la volontà politica di stare e di restare al governo a tutti costi, con qualsiasi coalizione o formula di maggioranza. “Perché se no arrivano le destre”, si è detto in più occasioni. Arrivano i barbari, ma quali barbari? Se guardiamo bene nel 2013, dopo aver “non vinto”, si è allargato il campo, per poter governare, al centrodestra di Berlusconi, nemico storico e giurato del centrosinistra prodiano ed ulivista. Nel 2019 per tornare al governo, da cui si era stati esclusi dopo le elezioni politiche del 2018, si è accettato di sostenere un governo a guida Movimento 5 stelle. Movimento che nel frattempo era stato fino a poco prima nuovo nemico giurato del centrosinistra. Da ultimo, nel 2021, addirittura al governo con la Lega di Salvini, da sempre additata come il male assoluto. Sfido chiunque a trovare una buona ragione per votare ancora PD e centrosinistra.
In questi quindici anni di vita il PD ha perso progressivamente la militanza storica del centrosinistra ulivista. Dei partiti che diedero vita al PD, uno sembra essere sopravvissuto più di altri: gli ex-popolari, di tradizione democristiana, oggi largamente rappresentati in Parlamento e in tutti i vertici di partito, in osservanza al detto: “si muore tutti democristiani”. Un partito che, salvo per i diritti civili, su cui pure ci sarebbe da discutere, è largamente più a destra in senso conservatore di quanto si racconti. In tutti questi anni, mentre il partito si disfaceva, e crollava il consenso elezione dopo elezione, non un briciolo di autocritica è stata mai minimamente tentata.
Nemmeno quando l’analisi dei flussi di voto diceva chiaramente che il nostro principale insediamento elettorale, la classe media impiegatizia, si stava spostando armi e molti bagagli a destra. Si è continuato a mettere in campo la riproposizione degli stessi schemi e degli stessi volti, quasi tutti logori. Mentre si giustificava quasi tutto pur di stare al governo, contemporaneamente si gridava alla minaccia populista del Movimento prima e dalle destre successivamente. Senza mai mettere in campo una vera proposta politica nuova o quantomeno rinnovata.
Un partito, il PD, e i suoi satelliti sempre più piccoli, dilaniati da continue faide interne che hanno prodotto congressi a ripetizione con segretari eletti e poi subito scaricati, reggenze a tempo e commissariamenti. Per restare al solo PD ben otto sono stati i segretari nazionali in questi anni. In tutto questo la democrazia dell’alternanza è stata sconfessata e poi minata da una legge elettorale scandalosa, voluta da Renzi che oggi la rinnega. Senza trascurare il mancato sostegno alle campagne referendarie del 2021, posizione perfettamente in linea con quanto sostenevano le destre e la Meloni.
La comparsa sulla scena di Renzi si è trasformata per il centrosinistra da presenza taumaturgica, vedi il risultato dell’elezione europea, ad un’effimera farsa. La sconfitta referendaria e poi le elezioni politiche del 2018 ne hanno segnato l’inarrestabile declino.
L’alleanza egocentrica Calenda-Renzi, di oggi, non porterà molto lontano i due campioni dell’ego, già consegnati all’oblio della storia. Si nota con evidenza il declino di una classe politica di centrosinistra mai veramente all’altezza della situazione. Non c’è, o perlomeno non si vede, una nuova classe politica pronta per le sfide del tempo presente.
Ai margini di questo mondo poi ci sono tutte le molte sigle della sinistra-sinistra, dentro e fuori il perimetro della coalizione, che si sono fatte sempre più piccole, sempre più marginali e sempre più in conflitto tra loro, arrivando a parlare, spesso, lo stesso linguaggio della peggiore destra populista – sovranista. Il tutto risulta oggettivamente abbastanza delirante. Eppure sarebbe bastato farsi una semplice domanda per scoprire come sarebbe andata questa tornata elettorale e magari programmare un’azione politica diversa: la classe media ha visto un qualche miglioramento in positivo della sua condizione economica e sociale, in questi ultimi undici anni in cui siamo stati al governo? Se la risposta era no, avevamo già in mano il miglior pronostico possibile di questa tornata elettorale.
Così non è stato perché, contrariamente a quello che sosteneva Andreotti, il potere logora eccome chi lo ha. Logora il legame tra gli eletti e la realtà quotidiana degli elettori.
Solo le nuove generazioni, i ventenni e trentenni di oggi, potranno invertire questa situazione, se avranno il coraggio di rifondare il campo delle istanze progressiste e dei diritti, per mettere in campo un soggetto nuovo capace di riconquistare il consenso delle classi medie e popolari».