«L’ultimo abbraccio è sicuramente il frutto dell’amore per la sua professione e dell’attaccamento agli altri». È così che Mariagrazia Vitobello – presidente del centro studi “Barletta in Rosa A.P.S.” – presenta, nella giornata di venerdì 3 marzo presso la sala Rossa del castello di Barletta, il romanzo L’ultimo abbraccio dell’avvocato matrimonialista e divorzista Gian Ettore Gassani.

Lo scrittore-legale è uno dei principali volti, a livello nazionale, esperti in diritto di famiglia ed attualmente presidente e fondatore dell’associazione “Avvocati matrimonialisti italiani”.

Da molti conosciuto per le diverse apparizioni televisive, appare invece questa volta nelle vesti di scrittore di un libro che ci parla non della natura conflittuale delle relazioni come negli altri suoi romanzi, ma di cinque bambini orfani ucraini.

Protagonista del racconto è Dimitri Wozniak, uomo di 50 anni che, da quando sua moglie Caterina è morta e suo figlio Gleb ha tagliato la corda per cercare fortuna, si sente solo. Finché un giorno riceve l’ennesima lettera dall’amata sorella Maria, che vive a Vladivostok, e che non vede da 30 anni. All’interno della busta trova una piccola foto in bianco e nero che li ritrae insieme, adolescente lui e bambina lei, sorridenti. È ‘unica immagine della sua vita “prima”, della sua vita felice. Tutto il resto è andato perduto.

È qui che inizia l’epifania di Dimitri: una rassegna di ricordi che affonda le sue radici nel lontano 1940, anno della scomparsa dei genitori e della conseguente segregazione nell’Internat, l’orfanotrofio, con la sorellina. Reminiscenze che lo riporteranno, però, al tempo presente, in quanto quel luogo dimenticato da Dio tornerà prepotentemente nel suo quotidiano, insieme a una quercia magica capace di unire i destini dell’adulto Dimitri e di cinque orfanelli incontrati sulla lunga e tortuosa strada che è la vita.

La lettura di diversi passi, tratti dal racconto dell’autore, suscita così l’attenzione di un pubblico non omogeneo: i piccoli alunni della professoressa Mariagrazia Vitobello, ma soprattutto numerosi genitori adottivi con i rispettivi figli adottati.

Durante l’incontro infatti, oltre che una grande attenzione, emerge un’evidente commozione nei volti dei presenti, alcuni dei quali d’altronde raccontano di aver vissuto personalmente negli Internats ucraini.

Si tratta di enormi orfanotrofi dove vivono dai 200 ai 350 bambini. Luoghi non sempre accoglienti e anonimi, dove manca l’amore e il calore di una famiglia di cui i bambini hanno tanto bisogno.

Sono una via di mezzo tra un orfanotrofio, un asilo e un ospizio. Decine di migliaia di persone trascorrono tutta la loro vita qui dentro eppure questi istituti sono nascosti ed isolati.

«Io sono stata in un Internat in passato ed è una realtà molo difficile – asserisce Marina Cortellino, una delle persone presenti all’evento, la cui vita è cambiata in meglio grazie all’adozione – Inoltre dove vivevo non avevo assolutamente buone opportunità di vita. Ora invece finalmente posso dire di essere quasi realizzata perché tra un mese sarò laureata. Sono infinitamente grata ai miei genitori adottivi e ringrazio anche Francesco Bia qui presente, presidente del “Gruppo accoglienza bambini Bielorussia”».

L’emozione coinvolge anche l’avvocato Lydia Ardito, presidente del distretto di Bari dell’associazione matrimonialisti familiaristi italiani e che lavora attualmente presso il tribunale per i minorenni di Trani: «Tutto ciò che vedo nel mio lavoro si ritrova in questo libro, soprattutto per quanto riguarda i minorenni e tutte le loro difficoltà. Ma oltre che una tematica fondamentale, è un libro che suscita continuamente forti emozioni, un libro che va letto con il supporto di un fazzolettino».

Gian Ettore Gassani chiude infine la serata con un appello: «Io mi auguro che da oggi in poi, forse anche attraverso il mio libro, chi governa possa capire che, pur di liberare i ragazzi dall’Internat, bisogna consentire le adozioni internazionali a qualsiasi persona perbene ed indipendentemente dal proprio stato giuridico. Dobbiamo salvare i bambini dagli Internats!».

A cura di Francesca Caputo