L’ennesimo no, questa volta volta proveniente dalla Corte di Cassazione francese, sull’estradizione di dieci terroristi italiani, la maggior parte di questi legati alle Brigate Rosse, ha provocato un senso di forte disapprovazione tra i famigliari delle vittime di quel periodo così triste e, allo stesso tempo, controverso della storia d’Italia. Ad intervenire ai microfoni della Rai, è stato anche Alberto Dicataldo, figlio di Francesco, maresciallo barlettano ucciso a Milano dalle BR il 20 aprile del 1978. ”Ormai sono passati più di quarantasette anni-esordisce-e la pena mi interessa fino a un certo punto. Bisognerà ragionare nei termini di restituire un po’ di verità sulle vicende: la partita non è l’estradizione, ma vogliamo che queste persone diano un contributo per capire quanto è successo in quegli anni”.

20 aprile 1978, l’Italia era in sgomento e in fibrillazione dopo il sequestro Moro. Francesco Dicataldo, nato a Barletta il 20 settembre 1926, ricopriva il ruolo di vicequestore del carcere milanese di San Vittore. Posizione che riusciva a portare avanti in modo proficuo, dimostrandosi uomo di dialogo e moderazione, fortemente credente nel carcere come mezzo di rieducazione. In tale data, mentre usciva da solo dalla sua abitazione per recarsi alla fermata del filobus, che l’avrebbe poi condotto alla Stazione Cadorna, veniva raggiunto da due terroristi(uno dei due Sergio Tornaghi, che non sarà estradato ndr) che lo freddavano con due colpi di pistola alla testa, quattro alla schiena e uno al braccio sinistro. Nel 2004 sarà insignito dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi della Medaglia d’Oro al Merito Civile.

A cura di Giacomo Colaprice