Chi trova un amico, ha trova un tesoro. Se l’amico muore dove ritrovare il tesoro? Come e dove ricercarne il senso ultimo? Come colmare il senso della perdita di un’amicizia vissuta come dono della Provvidenza? Perché un’amicizia durata circa quaranta anni fatta di intesi dialoghi su cose storiche, oggi bruscamente interrotta (direbbe san Francesco d’Assisi) da sorella morte? Perché se fino a qualche settimana fa a casa sua abbiamo serenamente argomentato sui fatti storici, ancora inediti e poco conosciuti, sulla storia dell’antico borgo Santa Maria e quindi sui porti interrati?

Il giorno 7 ottobre 2022 è stata celebrata nella Parrocchia Santa Lucia la santa Messa per le Esequie del passaggio a nuova vita del carissimo amico Giuseppe Doronzo (giorno della Vittoria a Lepanto nel 1571, festa del S. Rosario). Mi dicono che la messa sarebbe iniziata alle 16,00, lungo il tragitto trovo imprevedibili ostacoli, però giungo in perfetto orario, la messa è appena iniziata. Trovo la chiesa già gremita quasi tutta di parenti del caro estinto. Nella bella omelia di don Vito, tra l’alto, in quel tempo, Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). E ancora, il Signore disse ai discepoli: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52). Quindi la vita terrena di Giuseppe è stata costellata di significativi eventi all’insegna di una viva fede cristiana.

In altri termini, siamo in presenza di una testimonianza vita controcorrente, anche se non molti se ne sono accorti, l’antifona suona come monito a tutti i presenti, me compreso. Ci riteniamo ancora veri cristiani? Perchè il pubblico dei nuovi arrivati, pur contrito dal dolore, farebbe scena muta durante la santa liturgia eucaristica? Grazie per quanto ci hai dato Peppino – recita qualche parente sui social.

l’uomo, le sue virtù.  Dopo la vivificante Messa, mi reco al mio studio. Ho bisogno di ritrovarmi. Presto si fa sera.  Idealmente ripenso al vissuto con Giuseppe. Mi accorgo di stare passeggiando sul Corso. Come a rievocare le gioiose passeggiate con lui ed i suoi cari amici. Penso, rivivo ricordi. Anche per appagarmi e acquietarmi. Cerco di stemperare commozioni e dolore per la perdita di siffatti uomini di statura morale e intelligenza rara. Capaci di sincero affetto e acuta introspezione verso se stessi e verso gli altri. Una personalità austera e capace di lasciarsi andare anche in brillanti battute e opportune ilarità. Cerco di rievocare suoi aneddoti e antichi episodi testimonianza di vita reale con il popolo minuto, quando gestiva (l’Eca) l’ente assistenziale comunale per i bisognosi.

Un giorno degli anni ’80, come altre volte, lui entra nel mio studiolo per il solito cordiale saluto. Gli preannuncio: caro Peppino, sto lavorando sulla stesura integrale dell’Anonimo Cannense, che riporta integralmente la Vita di san Ruggiero Vescovo. E lui: io sto mettendo un certo ordine la biblioteca delle Monache di san Ruggiero. Per san Ruggiero ne farei un libro. Il suo “San Ruggero, da Vescovo di Canne a Protettore di Barletta” venne presentato nel 1998 in un piccolo convegno nella biblioteca della Monache Celestine di san Ruggiero, presieduto dall’Arcivescovo Carmelo Cassati. Poi ebbe a confidarmi della sua venerazione cristiana nel Santo Patrono della nostra Città. Poco dopo fece seguito (nel 2000): “Barletta: Custodie di insigni reliquie della passione di Cristo”, di cui mi dona una copia con tanto di dedica: “All’amico carissimo Nicola Palmitessa con molta cordialità”, parole che si commentano da sole. Seguiranno altri eccellenti lavori di carattere propriamente storici. Siamo in presenza di un diplomato, una bella penna che conosce persino il latino.

L’eredità spirituale. Ma rimuginavo cosa e chi concretamente muovesse il caro amico per tanto amore e dedizione feconda sulla città: la grande amicizia cristiana (forse sin dall’infanzia) con lo storico del secolo, ovvero il grande e impareggiabile storico, presbitero e canonico della cattedrale (Santa Maria) Salvatore Santeramo (1880 – 1969). La cui redità spirituale e morale affidata al giovane Giuseppe, veniva concretizzata da un ulteriore carico di responsabilità: l’affidamento di materiali del proprio archivio personale. Quello del caro Giuseppe è pure un profilo spirituale vissuto e temprato alla palestra di fede cristiana, forse, da un’infanzia felice, e strutturatosi in età adulta come edificante amore anche verso la propria città. Questo sarebbe il suo lascito testamentario e spirituale. Altro che storici delle accademie e al servizio delle pubbliche istituzioni. Insomma un monito per tutti.

Un impeccabile studioso. Ricordo la sua immancabile, lusinghiera presenza alle mie prime pubbliche rassegne di cartografie storiche sulla città di Barletta ed il suo porto (dal 2003 al 2005) allestite nella Gallerie del teatro comunale Giuseppe Curci e nell’Auditorium chiesa Sant’Antonio (oltre nella convegnistica di altri mie volumi). Lavori defaticanti a parte con apprezzamenti di centinaia di visitatori, però mi sarei sentito come appagato e legittimato solo dal suo fraterno sguardo assenziente. Come sentirmi dire dal maestro (locuzione identitaria di Salvatore Santeramo), il tuo lavoro è benfatto!

Quanto ai suoi lavori, lungi da fatue e generiche tentazioni ideologiche, il metodo e lo stile di ricerca dei suoi libri sono informati da una narrazione suffragata da documentazione certa, tesa al senso di riscontri a portata di mano. Lo stile narrativo volge sempre all’essenziale. Nonostante dai suoi più importanti lavori sia trascorso qualche decenni, tuttora sono rimasti e resteranno del tutto sconosciuti sia all’amministrazione comunale che agli storici trionfanti della città (accademici e non). Si pensi solo ad esempio al suo “I Borghi Antichi di Barletta” (del 2003) ed in particolare al “Vol. II – Borgo Santa Maria” (del 2005). Sin dove conducono l’attenta prudenza e umiltà?

L’uomo capace di rinunce. Amore per la città ma anche per la famiglia, e dedizione alla ricerca del vero e negli studi storici fino crudezza di ingratitudine (nella cosiddetta comunità scientifica), tuttavia Giuseppe è stato capace di autentiche e importanti rinunce. Per la sua impeccabile affidabilità morale e funzione pubblica svolta negli enti assistenziali, si dice che il presidente del Consiglio Regionale della Puglia Beniamino Finocchiaro (1970 – 1975) nonchè presidente della RAI (1975 -1977) volle incaricarlo come dirigente alla stessa regione. Ma Giuseppe ebbe rinunciare al prestigioso incarico. Infine, perché ora il Comune si appresterebbe ad asfaltare quell’area ENI (da san Cataldo al castello) per un autoparcheggio, proprio dove il nostro caro storico ebbe a rintracciare preziosi beni archeologici: il molo portuale Primitivo interrato? Per ignorare il patrimonio di Doronzo, grandi classici della storia della Citta (Francesco Paolo De Leon, Giuseppe Seccia, Sabino Loffredo, F. Saverio Vista)?

 

Dott. Nicola Palmitessa

Centro studi: La Cittadella Innova