«Nel giugno di quest’anno, la cosiddetta “stepchild adoption” è arrivata per la prima volta innanzi alla Corte di Cassazione, la quale ha avallato un corposo orientamento giurisprudenziale affermato da diversi Tribunali e Corti di Appello italiani, confermando la possibilità per una persona di adottare il figlio del proprio compagno o della propria compagna di vita dello stesso sesso» Lo sottolinea l’avvocato barlettano Nicola Pignatelli, commentando, in chiave giurisprudenziale, l’importante risultato raggiunto. «La coppia coinvolta nella battaglia giudiziaria (iniziata innanzi al Tribunale per i Minorenni di Roma e poi dipanatasi nei tre gradi di giudizio poiché le sentenze di primo e di secondo grado favorevoli alla coppia sono state impugnate dal Pubblico Ministero) è composta, come anticipato, da due donne (coniugate in Spagna ma da ritenersi “non unite in matrimonio” per il nostro ordinamento, non essendo previsto in Italia, come noto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso), la più giovane delle quali – nell’ambito di un condiviso progetto di genitorialità – ha partorito, con la procreazione medicalmente assistita, una bimba che ha poi vissuto sin dalla nascita insieme ad entrambe in Italia, in un contesto familiare e di relazioni sociali del tutto paragonabile a quello delle altre bambine della sua età. Nel primo grado di giudizio, il Tribunale per i Minorenni di Roma ha accolto la richiesta di adozione avanzata dalla partner della madre biologica con il consenso di quest’ultima, muovendo da un’interpretazione di alcune norme contenute nella legge italiana sull’adozione e sviluppando un coerente ragionamento giuridico, così sintetizzabile: a) l’adozione particolare in Italia è ammessa anche per le persone singole; b) la legge non prevede limitazioni basate sull’orientamento sessuale di chi richiede l’adozione particolare; c) la legge favorisce altresì il consolidamento dei rapporti affettivi e relazionali tra il minore e le persone che già se ne prendono cura (parenti o altre persone con le quali, come nel caso specifico, la minore abbia già convissuto), senza la necessità che, per essere adottabile, il minore debba necessariamente trovarsi in uno stato di abbandono.

L’avvertenza estremamente importante che il Tribunale per i Minorenni di Roma ha formulato è quella riguardante la necessità di una compiuta indagine sul caso concreto (riguardante, cioè, di volta in volta, il singolo caso che si porta all’attenzione dei giudici), dalla quale possa emergere la piena rispondenza dell’adozione particolare al preminente interesse del minore ed al suo diritto di ricevere amore e stabilità nelle proprie relazioni affettive. Nello svolgere questa indagine, infatti, il Tribunale per i Minorenni, per valutare se l’adozione richiesta sia idonea a tutelare e realizzare il preminente interesse del minore, deve svolgere accertamenti – attraverso i servizi locali e gli organi di pubblica sicurezza – sulla idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, nonché sulla situazione personale ed economica, sulla salute e sull’ambiente familiare dell’adottante, sui motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore, sulla personalità del minore e sulla possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore. Una tale indagine ha convinto pienamente il Tribunale romano della bontà della richiesta di adozione avanzata dalla partner della madre biologica della minore ma, pur a fronte di una conferma della sentenza di primo grado anche da parte della Corte di Appello, il caso è poi arrivato in Cassazione, in quanto il Procuratore Generale ha ritenuto di dover contrastare l’applicazione al caso in discussione dello “strumento giuridico” rappresentato dall’adozione particolare. La Cassazione, sollecitata quindi dal Procuratore Generale, ha avuto modo di affermare principi di notevole interesse, così riassumibili:

  1. l’adozione particolare (o adozione in casi particolari) mira a dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all’interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzate dall’adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali e la ratio dell’istituto è quella di consolidare legami preesistenti e di evitare che si protraggano situazioni di fatto prive di uno statuto giuridico adeguato;
  2. una relazione omoaffettiva tra la madre e la convivente che richiede di adottarne la figlia non può essere aprioristicamente valutata in termini negativi, potendosi ammettere in un processo la valutazione di ipotetici pregiudizi discendenti dalla situazione di omoaffettività soltanto se tali pregiudizi per il minore da adottare esistano (e siano dimostrati) in modo puntuale e specifico nel caso concreto;
  3. non è necessario che il minore da adottare versi in quello stato di abbandono che possa portare all’affidamento preadottivo, poiché l’adozione particolare può essere “utilizzata” anche per quei casi (come quello in discussione) in cui un minore abbia goduto e goda tuttora di ogni attenzione nell’ambito della relazione affettiva instaurata con il partner del proprio genitore;
  4. il fatto che un minore per il quale si chieda un’adozione in casi particolari non debba trovarsi necessariamente in stato di abbandono (se così fosse stato, nel caso in discussione, la partner non avrebbe potuto ottenere l’adozione poiché la minore si è sempre trovata in una condizione di benessere psico-fisico, relazionale e sociale derivante dalle cure materne mai venute meno) corrisponde anche a quanto affermato sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ultima, alla ricerca di soluzioni che assicurassero il “best interest” del minore, in diverse occasioni ha preso posizione, ora affermando che «il principio secondo il quale il rapporto affettivo che si sia consolidato all’interno di un nucleo familiare, in senso stretto o tradizionale o comunque ad esso omologabile per il suo contenuto relazionale, deve essere conservato anche a prescindere dalla corrispondenza con rapporti giuridicamente riconosciuti, salvo che vi sia un accertamento di fatto contrario a questa soluzione», ora riconoscendo una violazione del principio di non discriminazione consacrato nell’art. 14 della Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali, da parte dell’Austria, per aver mantenuto un’ingiustificata disparità di trattamento tra le coppie di fatto eterosessuali e le coppie di fatto formate da persone dello stesso sesso, dal momento che nell’ordinamento austriaco la cosiddetta adozione coparentale (la stepchild adoption, appunto) era consentita soltanto alle coppie di fatto eterosessuali;
  5. poiché all’adozione in casi particolari (prevista dall’art. 44, comma 1°, lett. d) della legge italiana sulle adozioni) possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l’esame dei requisiti e delle condizioni previste dalla legge non può essere svolto – neanche indirettamente – dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner.

Con questa sentenza della Corte di Cassazione (l’unica fino ad ora) si può dire che il favore giurisprudenziale per l’adozione in casi particolari quale strumento per dare risposta alle richieste di “regolarizzazione e protezione giuridica” del rapporto esistente tra un minore ed il partner dello stesso sesso del proprio genitore (tra un minore, cioè, e quello che viene definito il suo “genitore sociale”), sta assumendo la natura di vero e proprio diritto di matrice giurisprudenziale, da riconoscersi, tuttavia, nella doverosa consapevolezza della particolarità dei singoli casi concreti che arrivano all’esame dei giudici. Particolarità dei casi concreti che, proprio in questi giorni sembra essere stata posta in evidenza dal Tribunale per i Minorenni di Milano, il quale, stando alle ricostruzioni giornalistiche (e riservando alla lettura della sentenza le considerazioni più approfondite sul caso specifico), sembra aver “negato” quello che da molte parti si è salutato come un diritto acquisito. Se da un lato, dunque, va ribadito che, allo stato attuale, non vi è un riconoscimento certo ed esplicito a livello legislativo del diritto all’adozione coparentale (o stepchild adoption) per le coppie di persone dello stesso sesso (in molti ricorderanno che un tentativo in tal senso è stato poi accantonato durante l’iter di approvazione della recente legge sulle “unioni civili”), va per altro verso ben messo in evidenza come ormai non possa più ragionevolmente affermarsi, né da parte della giurisprudenza, né da parte di un futuro legislatore, che una coppia omoaffettiva possa – per ciò solo – vedersi negato il proprio desiderio di consolidare anche da un punto di vista giuridico il rapporto con un minore figlio di uno dei due partner della coppia, anche perché così si finirebbe col frustrare, nella maggior parte dei casi, il diritto del minore stesso all’amore e alla stabilità dell’affettività e delle tutele sociali e giuridiche in suo favore».