La curiosità del passato è la comprensione del presente. A margine di un incontro tenutosi al Liceo scientifico “Cafiero” di Barletta, di cui vi abbiamo già raccontato, per farci illustrare qualcosa in più sul “caso Moro” abbiamo incontrato l’on. Gero Grassi, parlamentare dal 2006 fino alla scorsa legislatura (prima con l’Ulivo poi PD), membro della seconda Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, ex democristiano, già sindaco di Terlizzi E segretario provinciale della Margherita.

Ci riferiamo al “caso Moro” sempre come al più grande mistero dell’Italia repubblicana. Ma è così: c’è ancora qualcosa che non si sa ufficialmente?

«Se dovessimo fare una percentuale diciamo che ciò che non sappiamo è il 10%, perché la relazione approvata dalla Commissione parlamentare Moro II e dal Parlamento a dicembre 2017 ha svelato quasi tutti i misteri della vicenda Moro. Chiaramente, essendo un fatto successo quarant’anni fa, delle zone d’ombra rimarranno sempre».

Siamo quasi al 41º anniversario dalla morte di uno statista “rivoluzionario”: quale vuoto ha lasciato il propugnatore del centro-sinistra in Italia?

«Un vuoto incolmabile. L’Italia non sarebbe stata questa se Moro non fosse stato ucciso. Moro aveva due obiettivi: realizzare in Italia la “democrazia compiuta”, cioè l’alternanza tra due forze democratiche di governo, e liberare l’Europa dagli accordi di Yalta, che chiusero la Seconda Guerra Mondiale assegnando l’Ovest agli americani, l’Est ai sovietici e il Mediterraneo e l’Italia agli inglesi. Sarebbe stato un altro mondo, avremmo avuto un’Europa più forte, fatta di cittadini, più democratica, meno economica; però purtroppo la storia non si fa con i se. Moro è morto perché era un rivoluzionario e perché voleva fare queste cose».

Poche settimane fa si è chiusa la Commissione sul “depistaggio nel processo Borsellino”. Lei ha parlato di “metodo simile”: in che senso?

«La Commissione su Borsellino era della Regione Sicilia e le similitudini sono che la borsa di Borsellino scompare come quella di Moro. Oggi sappiamo da un video del TG1 che la borsa di Moro la presero i Carabinieri. La relazione della Commissione antimafia della Sicilia dice che la borsa che conteneva la famosa agenda rossa di Borsellino l’hanno presa i servizi segreti. Purtroppo pezzi dello Stato, bacati, deviati, criminali partecipano a questi omicidi».

L’anno prossimo ricorderemo i 40 anni dall’uccisione, per mano mafiosa, del Presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, forse l’erede politico di Aldo Moro.

«Il 6 gennaio 2020 ci sarà questo quarantennario. Piersanti Mattarella era la continuità di Moro. Io ho assistito ad un incontro che Moro mi concesse a fine gennaio ’78: eravamo nello studio di Moro io, Piersanti Mattarella, Michele Reina e Rino Nicolosi. Piersanti Mattarella stava facendo in Sicilia ciò che Moro avrebbe voluto fare a livello nazionale, cioè stava spostando il Partito comunista da una posizione oltranzista e massimalista, collegata all’Unione Sovietica di Breznev, in un contesto europeo. Mattarella fu ucciso e anche lì s’interruppe un grande percorso di rivoluzione, perché la rivoluzione positiva non si fa con le armi ma con le parole e le azioni»

Santificato dalla Chiesa pochi mesi fa papa Paolo VI: amico personale di Moro, nonché il pontefice proprio durante il rapimento. Come è stata la partita giocata in quei giorni dal Vaticano?

«Paolo VI era amico personale di Moro. Il Papa, contrariamente a pezzi del Vaticano – e penso a quel delinquente del vescovo Marcinkus che era il capo dello IOR (la banca vaticana) – ha tentato la trattativa per Moro, così come hanno tentato la trattativa per Moro i Socialisti. Chi non ha voluto la trattativa sono stati i democristiani e i comunisti, influenzati da Cossiga e Andreotti gli uni e da Pecchioli gli altri. Paolo VI raccolse dieci miliardi dell’epoca, lo IOR non aveva voluto darglieli e lui li raccolse tra gli ebrei che aveva salvato a Milano durante la Seconda Guerra Mondiale. Oggi, noi conosciamo anche la banca di Tel Aviv, dove questi soldi erano stati raccolti. Ma il tentativo di Paolo VI di trattare con le Brigate Rosse fu bloccato dal Governo italiano per bocca del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti».

Ecco, ancora un centenario: pochi giorni fa Andreotti avrebbe compiuto 100 anni

«Lui e Cossiga hanno assicurato alla morte di Moro la copertura del Governo italiano, perché Moro non andava bene agli Stati Uniti e non andava bene ai Sovietici. Moro doveva morire, dava fastidio e l’hanno fatto morire ucciso, non dalle Brigate Rosse, ma da un uomo della ‘Ndrangheta che si chiama Giustino De Vuono».

Lei va in giro per l’Italia a parlare di Moro, con gli studenti, con gli educatori. Perché?

«Oggi sono alla tappa 624. Quello di oggi al Liceo Cafiero è un progetto del Consiglio Regionale della Puglia che si chiama “Moro Vive” e tende ad attualizzare la figura di Moro negli studenti per parlare della Costituzione, di Moro ministro della Pubblica istruzione, degli Esteri e Presidente del Consiglio e della tragedia di Aldo Moro, per dire che egli non è morto ma è stato ucciso e però vive nei cuori e nelle intelligenze degli italiani onesti che vogliono un’Italia migliore».