Che dire? Emilio Solfrizzi supera abbondantemente la prova al Curci di Barletta con “Il malato immaginario”. Il ruolo di Argante sembra cucito a pennello per il popolare attore barese applauditissimo insieme all’intera Compagnia Molière/La Contrada Teatro Stabile di Trieste.

Risultante: tutto esaurito, ammirazione del pubblico, apprezzamenti per la regia e l’adattamento di Guglielmo Ferro (figlio d’arte, il padre era il grande Turi) e riflessioni nei confronti di un classico intramontabile, straordinariamente moderno.

Si sorride, si ride, si pensa al personaggio di Argante, depresso e ipocondriaco, a cui non interessa la guarigione, ma i medici. Chiuso in casa, circondato da dottori che gli diagnosticano e gli curano malattie inesistenti, Argante ha più paura di vivere che di morire: “Finchè esistono i medici, esiste anche l’illusione che il futuro di una esistenza malata non sia la morte, ma una ipotetica vita da sani”.

La malattia come rifugio, la fuga dall’esistere e dal vivere, l’ipocrisia, la disonestà, i temi affrontati da Molière in una commedia ricca di comicità, con situazioni esilaranti finalizzate a mettere a nudo le debolezze e le disgrazie umane.

Solfrizzi-malato immaginario, con la sua ben nota mimica facciale, in scena con gli abiti d’epoca, si trascina tra medicine, clisteri, tisane e consigli di imbonitori che lo sfruttano, alla stessa stregua della sua seconda moglie Bellania. È il gioco delle parti, ma Argante non ha alcun interesse a guarire. La vita lo divora, ma lui rimane terribilmente solo, impaurito e messo a nudo da una esistenza che non gli dice nulla.

La commedia si apre e si chiude con la solitudine di Argante, un uomo che cerca gli altri unicamente per attirare l’attenzione sui falsi malanni. Il suo continuo rifugiarsi nelle patologie di varia natura corrisponde a una fuga dalla realtà e dalla soluzione dei problemi. È il trionfo dell’egoismo, delle apparenze, della omologazione, della imbecillità umana, delle verità nascoste.

La serva Tonina con il suo brio e la sua furbizia, cerca di tenere vivo il suo padrone provocandolo e stimolandolo, ingannandolo benevolmente: Argante stuzzicato reagisce con una vitalità che allontana per pochi istanti la sua nevrosi, poi incombe nuovamente il suo illusorio pessimo stato di salute.

Nella stagione delle celebrazioni per Molière, per i suoi 400 anni dalla nascita, “Il malato immaginario” interpretato da Emilio Solfrizzi ridesta la mai sopita passione per il drammaturgo francese.

Molière quando scrisse la commedia era malato e sapeva di dover morire (spirò il 17 febbraio 1673, proprio mentre stava recitando) ma decise che con quell’opera bisognava ridere dei falsi rimedi. L’autore approfitta così delle occasioni comiche per denunciare la società del suo tempo.

Perfetta la scelta del regista Guglielmo Ferro di puntare su Emilio Solfrizzi, su un attore più giovane, rispetto ai protagonisti del passato, per vestire i panni di Argante.

Le circa due ore della commedia trascorrono velocemente tra equivoci, amarezze e ilarità. Al termine, applausi scroscianti in un teatro Curci gremito. Solfrizzi, insieme alla sua Compagnia, guardando compiaciuto ogni ordine di posti, alzando il capo verso i loggioni, ringrazia gli spettatori con una frase che racchiude gioia incontenibile “Che meraviglia!”.

Straordinari, aggiungiamo, i talentuosi attori: Lisa Galantini, Antonella Piccolo, Sergio Basile, Cristiano Dessi, Pietro Casella, Mariachiara Di Mitri, Cecilia D’Amico e Rosario Coppolino. I costumi sono di Santuzza Cali, le musiche di Massimiliano Paci. Splendida la scenografia di Fabiana Di Marco: un parallelepipedo, una altissima torre, una libreria enorme con gli scaffali pieni di medicine al posto dei libri e all’interno una scala a chiocciola dove è fagocitata l’esistenza di Argante.

La prossima tappa de “Il malato immaginario” è targata Lazio: venerdì 25 marzo la commedia è in scena al Teatro Manzoni di Cassino.