Risale a ottobre uno scatto d’atleta mirato a sollecitare Comune e istituzioni ad un pronto intervento senza altri indugi.

Antonio Binetti, subacqueo ambientalista foriero di mobilitazioni in nome dell’ecosistema, aveva dichiarato di scegliere lo sciopero della fame per spronare la cittadinanza e gli organi di competenza a ripulire l’area del Vallone Tittadegna a Barletta, da anni alla mercé di incuria, pattume, liquami e materiali come amianto, fitofarmaci e plastica, che non potevano più sostare in zona e che rappresentavano un rischio troppo alto per l’area, in cui vengono conglobate le acque piovane.

“Scongiurato un disastro ambientale” è apparso ieri come incipit del post sulla pagina Facebook dell’uomo: dopo quattro mesi, e dopo che Antonio ha soggiornato lì con una tenda senza toccare cibo, finalmente la zona, che era diventata una discarica abusiva, è stata ripulita e rimessa a lucido.

Non si vedono più i rifiuti che impattavano la vista, niente più degrado, ma finalmente igiene e ordine. Sventato un pericolo per il fiume Ofanto, nel quale probabilmente sarebbero stati conglomerati i rifiuti trasportati dalla pioggia, dipanati poi sulle nostre spiagge. Tutto è bene quel che finisce bene ma è necessario che il bene perduri.

«I cittadini devono capire che questa è la nostra casa – ha affermato Binetti –. Non importa dove ci troviamo, anche oltre la soglia di casa ognuno di quei luoghi ci tiene in vita quotidianamente e va preservato».

Un’azione, un dogma, un credo, che può essere diramato dal singolo atto da parte di ognuno.

«Dobbiamo essere uniti anche nei piccoli gesti – ha proseguito –. L’azione che ho fatto per il Vallone Tittadegna potrebbe essere la dimostrazione che anche una piccola persona che ha a cuore l’ambiente può fare la differenza. Certo, non è richiesto ai cittadini di fare lo sciopero della fame, ma almeno di rispettare i luoghi. È per questo che io lavoro tanti coi bambini, dai 5 agli 8 anni: loro saranno il nostro futuro e ci daranno salvezza. Lasciamo bei ricordi ai nostri figli, non scritte sui muri».

A cura di Carol Serafino