Incredulità, gioia, emozione. Quante volte abbiamo rivisto la foto di Pietro Mennea dopo che taglia il traguardo alle Olimpiadi di Mosca? Innumerevoli. Tutte le volte però sembra che il tempo non sia mai passato.

28 luglio 1980. Olimpiadi di Mosca. L’Italia arriva alle Olimpiadi in uno scenario politico segnato dalla recrudescenza della guerra fredda: gli Stati Uniti e molti paesi occidentali boicottano l’evento per l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Urss. Il movimento azzurro, dopo una lunga fase di interlocuzioni (si arriva a un passo dal no definitivo ndr), decide di prender parte all’evento, ma ufficialmente solo come Coni. Niente inno azzurro, niente partecipazione di atleti che avevano lo status di militare.  Nonostante questo, si va a Mosca e si va con l’orgoglio di rappresentare l’Italia grazie a ”stelle” di caratura internazionale. Nella pallacanestro maschile ci sono Meneghin e Marzorati che ci conducono a uno storico argento, Franco Cagnotto conquista il bronzo nei tuffi, mentre fioccano gli ori grazie a Ezio Gamba (judo), Claudio Pollio (lotta libera), Patrizio Oliva (pugilato), Luciano Giovannetti (tiro al volo trap). Simeoni e Damilano si prenderanno la medaglia più preziosa nel salto in alto e nella marcia di 20 km, Federico Roman negli equestri.

Alle ore 20:10 del 28 luglio i fari però sono tutti puntati su Pietro Mennea, nella gara dei 200 metri. Il campione barlettano arriva alla sfida da recordman per i 19’72” con cui ha stampato il suo nome nell’albo della storia a Città del Messico e da campione europeo in carica, ma anche con grandi pressioni. Sa che quella di Mosca sarà probabilmente l’ultima grande occasione per conquistare l’oro in una Olimpiade (dopo aver centrato il bronzo a Monaco di Baviera nel 1972), sa che tutta l’Italia avrà gli occhi su di lui.

Il peso del mancato podio nel 1976 a Montreal è sulle spalle, anzi sulle gambe. Quando però Mennea ha tutto sulle proprie gambe riesce a tirare fuori il meglio di sé. Corsia otto, non proprio una delle migliori, ma si va: c’è Don Quarrie (campione olimpico in carica) e c’è soprattutto un Wells in stato di grazia. Parte svelto Wells, ”più svelto” come riecheggia la voce dell’indimenticabile voce di Paolo Rosi in telecronaca. Mennea lotta, recupera, spalla a spalla fino all’ultimo dettaglio che possa fare la differenza, metafora di vita: quante volte la vita ci riserva cose positive e negative per un dettaglio? Viviamo tutto così velocemente e i piccoli aspetti spesso ci fanno svoltare in una direzione o in un’altra.

”Recupera, recupera, recupera, ha vinto, ha vinto!”. Sì, ha vinto Mennea. Ha vinto la ”Freccia del Sud” dopo una straordinaria rimonta. E con lui ha vinto lo sport, quello genuino, quello fatto di sacrifici e di rinunce. Quello che continua, così raro e quasi a imperscrutabile, a farci ancora emozionare. Alle nuove generazioni il compito di tramandarne il ricordo. Grazie Pietro!

A cura di Giacomo Colaprice