Un artista che sembrava destinato al silenzio e che invece ritorna all’attenzione del pubblico, a 35 anni dalla sua scomparsa, con la forza della sua arte e di chi ha ancora tanto da raccontare: è la voce di Antonio Bernardini, che emerge dalle tele, dai fogli dei suoi diari e dalle parole di chi lo ha conosciuto. La mostra “Antonio Bernardini: la scoperta di un artista”, a cura di Francesco Picca, direttore del museo civico di Barletta, è in esposizione a Palazzo Mattei di Paganica a Roma sino al 12 dicembre. Riunisce circa trenta opere — dipinti a olio, disegni, grafiche, fotografie — affiancate da lettere personali, manoscritti e inediti diari che fanno luce sul rapporto fra l’artista e il suo tempo. La mostra accompagna il pubblico lungo l’intera evoluzione pittorica di Bernardini: dalle prime vedute paesaggistiche degli anni Quaranta, alla produzione matura degli anni Cinquanta e Settanta, caratterizzata da un incontro tra realismo e simbolismo, con un’attenzione crescente agli aspetti onirici; fino agli anni Ottanta, quando l’artista sperimenta una sintesi tra simbolismo e informale mantenendo una solida base figurativa.
Tra i nuclei più significativi della mostra emerge la celebre serie delle automobili, quadri in cui elementi di modernità si intrecciano a visioni quasi surreali. La cromia è un’altra cifra distintiva della sua pittura: colori vibranti e audaci, con un blu ricorrente che sembra talvolta oltrepassare i confini fisici della tela e instaurare un dialogo diretto e quasi corporeo con l’osservatore. A completare il progetto espositivo, il documentario “Antonio Bernardini: Io Amo Vivere”, realizzato dalla regista Paola Bernardini, pronipote dell’artista.
Nato a Trinitapoli nel 1920, da una famiglia di origini toscane, Bernardini si forma all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove ottiene il diploma in pittura. Stabilitosi a Barletta, ne diventa figura di spicco: docente di disegno e, dal 1965, direttore del Museo Civico e Pinacoteca “Giuseppe De Nittis”. Per Bernardini la direzione del museo non è mera amministrazione, ma una missione culturale e civica. Intervenne attivamente contro il degrado del museo stesso e denunciò pubblicamente l’indifferenza delle istituzioni locali, promuovendo la tutela e la valorizzazione del patrimonio con costanza e dedizione.
La dimensione privata dell’artista non è meno presente: uomo colto, riservato e solitario, amante della natura e degli animali, Bernardini traeva dalle lunghe passeggiate in campagna ispirazione per i suoi quadri. Alla sua morte, avvenuta nel 1989, la sua abitazione conteneva una vasta raccolta di tele, disegni, incisioni e scritti, molti dei quali sono stati gelosamente conservati dalla famiglia e ora tornano a parlare al pubblico. Il progetto non si esaurisce a Roma: la mostra approderà anche a Barletta, il 24 gennaio 2026, con una seconda edizione allestita a Palazzo San Domenico, offrendo così alla città che lo ha formato l’occasione di riabbracciare un suo protagonista troppo a lungo rimasto nell’ombra.




































