Per il Referendum costituzionale confermativo del prossimo 20 e 21 settembre, insieme alle Regionali, detto sul “taglio dei parlamentari”, abbiamo voluto chiedere spiegazioni al professore barlettano, Ugo Villani, emerito in Diritto internazionale dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.

Professore perché è importante votare a questo referendum che non prevede neanche il quorum?

«Credo che sia estremamente importante votare. La riforma costituzionale non ha ottenuto la maggioranza qualificata dei 2/3 sia al Senato che alla Camera, perché se l’avesse ottenuta sarebbe passata in automatico. Invece qui di plebiscitario c’è stato solo il rovesciamento di posizioni del PD, che era sempre stato contrario e che poi, nell’accordo per il Governo Conte Bis ha radicalmente cambiato posizione. Trattandosi di un referendum non abrogativo ma confermativo, il quorum non è necessario, quindi è valido anche se una piccola minoranza di elettori si presenterà alle urne ed ovviamente anche un voto in più ne determinerebbe l’esito. Essendo in una Repubblica Parlamentare, il Parlamento è l’unico organo che ci rappresenta direttamente, perciò ritengo scontata l’importanza di un voto che riguarda la capacità operativa di quest’organo».

Questo referendum rischia di trasformarci in “asini di Buritano”, come detto dal giurista Gustavo Zagrebelsky, per le ovvie ragioni di adesione alla riduzione della spesa complessiva della politica romana, battaglia che avanza da molti anni, ma può trasformarsi in un ‘taglio della democrazia’, poco sostanziale nel risparmio e poco praticabile nell’andamento dei lavori parlamentari. L’asino resterà digiuno?

«Francamente, di motivi convincenti in favore del sì alla riforma, per quanto mi sia sforzato di cercare non ne ho trovati. Ho cominciato a ragionare sulle motivazioni che accompagnano le relazioni alla legge stessa che sono essenzialmente due: (1) l’obiettivo di aumentare l’efficienza e la produttività del Parlamento; (2) razionalizzare. Ma dove sta scritto che rendendo un organo sottodimensionato questo diventi più efficiente? Non dipende dal numero, come dire “sono troppi e quindi lavorano poco”, ma dipende dalla qualità. Oggi il Parlamento ha anche in posti chiave, come le presidenze di alcune commissioni, persone impreparate, che non hanno né un curriculum professionale né uno politico. La qualità, una volta, dipendeva dall’elettore, ma nell’attuale sistema elettorale, senza le preferenze, dovrebbe dipendere dalle segreterie dei partiti. Andando a ritroso fino alla Commissione di Bozzi (prestigioso liberale), Dalema (riforma della Costituzione del 2006, bocciata proprio da un referendum confermativo). Quindi è vero che ci sono stati tutta una serie di tentativi, ma io sarei tentato di dire che se non sono arrivati al successo vuol dire che sono sbagliati. Cioè, se non si è mai riusciti a farli è perché forse non era il caso di farli. Poi il discorso non è un tabù: una moderata riduzione dei parlamentari; ma questa è una drastica riduzione: 1/3 abbondante (36,5%). A una moderata riduzione ci si può pensare ma in un contesto diverso, che coinvolga anche i regolamenti interni delle due Camere, la legge elettorale (se non altro per assicurare una rappresentanza anche ai partiti minori) e l’elezione del Presidente della Repubblica, che lasciata senza un correttivo sbilancerebbe il peso della scelta in favore di alcune Regioni. Quindi una modifica organica. Non puoi invece dire: intanto partiamo da questo e poi si vedrà. Francamente non è serio procedere così. Le grosse riforme non vanno fatte con un accordicchio per il Governo, ma vanno fatte con un dibattito ampio, coinvolgendo tutte le forze politiche. Il Governo è della maggioranza, la Costituzione è di tutti».

Secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani di Carlo Cottarelli, il risparmio ammonterebbe a 57 milioni l’anno, circa un euro a testa: è banale dire che la democrazia vale ben di più?

«Ciò svela la pura demagogia di questa riforma. Stiamo parlando dell’organo centrale del nostro sistema costituzionale, dove s’incardina la rappresentanza dei cittadini, la sovranità del Popolo che la esercita attraverso gli organi rappresentativi. Quindi il problema di quanto ci costa la democrazia è un problema a mio avviso mal posto: vorrebbe dire chiedersi quanto costano gli altri servizi pubblici essenziali, come la Sanità. Ecco perché dire “costa troppo” mi pare un argomento inaccettabile. A mio parere s’innesca quasi un intento punitivo verso il Parlamento: “mandateli tutti a casa”, Dimaio che va con le forbici… Si sbeffeggia l’Istituzione del Parlamento. Questo può diventare un progetto di delegittimazione. Teniamo presente che il Parlamento è sotto attacco continuo: l’abuso del decreto-legge ne è un esempio. Vediamo anche i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, nel caso di tutta questa vicenda del Covid: sono legittimi, per carità, ma politicamente anche quella è una spoliazione continua delle prerogative del Parlamento. Non per fare dietrologia, ma sembra un’ipotesi di presidenzialismo».

Professore, ritiene che ci sia coerenza in chi avendo votato per bocciare la riforma costituzionale di Renzi-Boschi del 2016, ora voglia votare per il Sì?

«In effetti non mi pare per nulla coerente. Mi ero adoperato contro la riforma Renzi-Boschi. Però lì per lo meno c’era un quadro organico, non sempre coerente e privo di contraddizioni. Questa riforma costituzionale interviene solo su un aspetto che, visto da solo, non può che essere peggiorativo. Come incoerente mi pare votare nel Parlamento 3 volte no e poi votare sì».

Teoricamente, una riforma anche giusta nelle intenzioni, ma che come ha detto dovrebbe seguire un approccio quanto meno organico…

«Questo è poco ma sicuro e non può essere rinviato a un dopo. Ma quel che è peggio è che anche l’opinione pubblica viene in qualche misura portata a delegittimare l’ordine centrale della Costituzione: “più se ne vanno a casa e meglio è” questo è il linguaggio che viene in rilievo. Altro aspetto che dimenticavo, il rapporto tra rappresentati e rappresentanti si striminzisce ulteriormente, a detrimento di quelli che sono i punti di contatto tra le istanze sul territorio e i terminali in Parlamento. È vero che il taglio è lineare, ma immaginate un elettore delle regioni più piccole, potrà vedersi rappresentato quasi esclusivamente da parlamentari dei partiti maggiori».