Fotografia a cura di Attoterzo Comunicazione

Il fotografo barlettano Francesco Bosso, definito il “fotografo del silenzio” ha partecipato all’ultima edizione di Paris Photo, la più grande fiera internazionale di fotografia che si tiene a Parigi. Un contenitore culturale ambitissimo all’interno del quale sono ospitati esclusivamente i più grandi nomi della fotografia internazionale, un evento per il quale non è assolutamente semplice essere selezionati. L’Autore ha presentato la sua ultima pubblicazione dal titolo “Last Diamonds” ed esposto alcune opere fotografiche di questa serie, gli incantevoli e preziosi ghiacciai raffigurati rappresentano uno spunto di riflessione sulla drammatica situazione ambientale in cui versa il nostro pianeta. L’orgoglio è tutto barlettano per un fotografo che adopera ancora il banco ottico nella creazione dei suoi scatti, sviluppando direttamente in camera oscura lavori prestigiosi e indimenticabili. Abbiamo intervistato l’artista, autore delle incantevoli opere esposte a Parigi per carpire l’essenza dei suoi lavori e farci raccontare l’esperienza di Paris Photo.

Paris Photo, la fiera internazionale di fotografia più ambita al mondo, come si arriva a parteciparvi?
«Raggiungere questi obiettivi è frutto di un percorso lungo e denso di attività. In questi luoghi sacri della fotografia, c’è una selezione ferrea, sono migliaia i fotografi e le gallerie che vorrebbero partecipare. Il mio percorso ha richiesto molto impegno, sacrifici specie nello studio e approfondimento delle tecniche.
È anche fondamentale il modo in cui ci si approccia al mercato della fotografia bisogna proporre progetti originali, mai banali che abbiano qualcosa di unico. Insomma un giusto mix di cultura, professionalità, attitudine a lavorare con grande impegno e non ultima la capacità di fare delle belle fotografie, o meglio realizzare immagini non solo belle e fine a se stesse ma che riescano ad emozionare l’osservatore. Io ho avuto la fortuna di potermi dedicare ad una ricerca personale, approfondire le tecniche che preferivo per poi decidere di dedicarmi esclusivamente alla fotografia in bianco e nero trattata alla maniera tradizionale con i metodi classici della ripresa in pellicola e stampa in camera oscura. Una scelta di stile, la mia, molto in controtendenza con il mondo della fotografia di oggi. Ho avuto la fortuna di studiare negli Stati Uniti con dei grandi professionisti, maestri che hanno fatto la storia della fotografia americana, riuscendo ad acquisire un patrimonio culturale tecnico che ha consentito di esprimermi con una certa autonomia, libertà, licenza artistica su quelli che sono i miei progetti fotografici.

Intimità della fotografia, come uno scatenarsi di emozioni. Quali emozioni hanno caratterizzato la sua partecipazione a questo evento?
«Grande soddisfazione, il piacere di condividere questi momenti con lo staff della galleria, colleghi e tanti amici che non hanno mancato l’appuntamento e, ovviamente, onorato per i tanti visitatori appassionati e collezionisti che hanno manifestato il loro apprezzamento per questo nuovo volume “Last Diamonds”.

Come ha scelto le fotografie da esporre?
«A Parigi erano esposte tre fotografie di Last Diamonds, scelta in coerenza con la presentazione dell’omonimo volume, edito da Skirà, per il quale è stato organizzato il book signing. La galleria esponeva un gruppo di artisti, tra cui Gabriele Basilico e Franco Fontana.
C’è stato un ottimo riscontro e molto interesse per il mio progetto che va oltre l’aspetto estetico e, pur con toni moderati richiama l’attenzione sul gravissimo problema del Riscaldamento Globale.
Paris Photo ha una platea internazionale, a Parigi arriva gente da tutto il mondo ed è interessante confrontarsi con osservatori internazionali, la scelta delle opere esposte è influenzata anche da questo aspetto, che ovviamente è affidato all’esperienza pluriennale della galleria che mi rappresenta, la Photo & Co di Torino, una delle pochissime presenze italiane alla manifestazione.

Il suo è un genere fotografico fuori dal tempo. Se potesse scegliere di collocarsi in un decennio ben preciso, quale sceglierebbe?
«Sceglierei assolutamente di collocarmi nel nostro decennio. La mia è una fotografia assolutamente moderna, seppur ottenuta con metodi tradizionali. Una fotografia di estrema attualità che tratta un tema scottante che mi sta molto a cuore che è quello del Global Warming. Primariamente nella mia fotografia cerco di trasmettere delle emozioni, lasciando la parola alle immagini. In questa serie Last Diamonds c’è un messaggio di stimolo ad affrontare la drammatica situazione dei nostri ghiacciai e del nostro clima, credo di aver fatto un lavoro tra i miei più importanti. La fotografia se vogliamo è un atto un po’ intimo che ti consente di avere un rapporto quasi privato con le immagini, dopo diviene pubblico, questo rapporto si sviluppa maggiormente in un ambiente come la camera oscura, è tutto in relazione».

Quanto è importante che parli il silenzio di una fotografia?
«È tutto, se l’osservatore riesce a percepire un’emozione vuol dire che sono riuscito a raggiungere il mio intento. Questo è un pò l’obiettivo che è alla base di tutti i miei lavori, anche in quelli precedenti. In questo c’è un pizzico di drammaticità in più, se ci si sofferma a guardare le immagini degli Iceberg, riflettendo sul fatto che tra una settimana o due quella meravigliosa scultura non ci sarà più, ci si potrà chiedere il perchè quei ghiacciai si stanno sciogliendo così celermente e se possiamo fare qualcosa per fermare questo disastro ».