Sono passati solo pochi giorni dalla denuncia di Daniele Garrinella, il 25enne barlettano che, stando alle sue dichiarazioni, è stato vittima di un violento pestaggio sul luogo di lavoro e l’amarezza per l’accaduto è ancora tanta. Le escoriazioni che il giovane presenta in viso non sono solo ferite corporali ma anche il segno tangibile di preconcetti, tabù e indifferenza. La ragione? L’accusa di essere “diverso” per via del suo orientamento sessuale. Una vera e propria manifestazione di velenosa omofobia, che ha lanciato l’allerta e che Daniele ha fatto bene a denunciare. Ma quanti casi come il suo restano taciuti, per imbarazzo, disagio o semplicemente timore? A quanto pare molti di più di quelli che pensiamo. In proposito abbiamo intervistato Gianluca Caruolo, presidente del circolo territoriale Arcigay Bat, associazione che dal 2012 mette a disposizione supporto psicologico, legale e d’accoglienza a chi appartiene a quella che si è soliti chiamare “minoranza LGBT”. Abbiamo approfondito con lui i gravosi temi di omofobia e transfobia, mali che serpeggiano nella nostra società camuffati da pregiudizio e avversione.

Ciao Gianluca. Cosa puoi dirci del caso di Daniele Garrinella?

«C’è da fare una precisazione: quello di Daniele è stato un episodio di omo-transfobia sul luogo di lavoro. Lui ha richiesto il nostro supporto legale, curato da avvocati che sono anche soci e amici della nostra associazione. E’ stato preso in carico dall’avvocato Roberta Porro che sta seguendo il caso. La vicenda deve ancora essere chiarita. Episodi come il suo purtroppo sono molto più frequenti di quanto si pensi, ma quelli che vengono dichiarati e a cui conseguono denuncia e spazio sui media sono molto inferiori rispetto a quelli che accadono realmente. Daniele ha potuto e voluto denunciare questo caso di omo-transfobia ma esistono molti più casi di quello che sembra. In Italia i casi di omofobia sono purtroppo molto frequenti ma ne vengono denunciati pochissimi».

Come si potrebbe motivare questo notevole numero di casi non denunciati?

«Che sia a scuola o che sia a lavoro, che riguardino giovani o meno giovani, il punto è che molte persone non denunciano perché parlarne significherebbe fare coming out e venire allo scoperto, parlare del proprio orientamento sessuale e della propria sessualità e magari la vittima in questione non si sente di farlo o non può. Molte persone quindi restano nel silenzio perché la cosa potrebbe causare problemi in famiglia purtroppo, oppure a scuola e anche sul lavoro, quindi per paura si tace, paura di ritorsioni o paura di ripercussioni nei propri spazi quotidiani. La denuncia comporta uscire allo scoperto. Una persona quindi che è già vittima di violenza verbale e fisica, denunciando rischierebbe di esporsi maggiormente. Il coming out non si può imporre, ma una persona deve decidere di farlo nel momento e luogo che ritiene opportuno, è una decisione personale. Per questo a volte si preferisce restare nel silenzio. Il territorio BAT ha un numero limitato di denunce (una ogni 2 o 3 mesi) ma ci tengo a puntualizzare che questo non deriva dal fatto che ci siano poche violenze. Molte persone sentono di non poter parlare».

Come viene vissuta oggigiorno l’omosessualità in Italia e nel territorio BAT?

«Qualsiasi orientamento sessuale che differisce dall’eterosessualità in Italia viene purtroppo ancora vissuto con estrema difficoltà, soprattutto se paragonato al restante mondo occidentale. Rispetto a diversi anni fa la situazione è senza dubbio migliorata ma ancora difficile. Costantemente abbiamo a che fare con ragazzi e ragazze che hanno problemi sia in famiglia che a scuola, con genitori, docenti o compagni di classe omofobi, per cui c’è ancora molto da lavorare, a livello sia territoriale che nazionale. La minoranza della comunità LGBT (sigla che si riferisce a persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender) non è ancora tutelata e rispettata. In Italia la diversità sessuale è ancora un problema, senza ombra di dubbio».

Cosa si può fare per favorire l’inclusione e abbattere i pregiudizi?

«Quello che può fare la società civile, e quindi i cittadini, è prima di tutto informarsi. Nelle scuole non vengono insegnate l’ educazione sessuale e l’educazione al rispetto e alle differenze e invece sarebbe molto utile che venisse fatto. Sarebbe opportuno capire cos’è la sessualità, perché quest’ultima non può essere ridotta al solo orientamento sessuale ma è un ventaglio molto più ampio di quello che noi pensiamo. C’è moltissima disinformazione, alimentata da un rigetto degli stessi educatori nel parlare di queste tematiche. Sono temi che non riguardano solo le persone strettamente coinvolte ma riguardano tutti. I cittadini quindi devono essere educati a conoscere e ad intervenire, a non restare indifferenti ad episodi di violenza. La violenza non ha genere, etnia, religione, cultura, orientamento sessuale: la violenza è violenza e deve essere combattuta. Bisogna quindi che contribuiamo tutti a costruire una società più civile,  non solo per i diritti civili delle persone omosessuali, lesbiche e transgender, ma anche di tutte le altre minoranze, come le persone diversamente abili, migranti, indigenti e così via. Nessuno di noi deve restare indifferente a qualsiasi forma di intolleranza».

In quanto Arcigay Bat come vi state muovendo?

«Oltre a fornire aiuto e supporto attraverso i nostri tre sportelli (psicologico, legale e d’accoglienza), da più di un anno stiamo lavorando nelle scuole delle province di Bari e della BAT attraverso un progetto che si chiama “Educazione al rispetto e alle differenze” , un progetto di formazione. Stiamo cercando infatti di formare in primis i docenti sui temi di coming out, sessualità, identità di genere e orientamento sessuale. Oltretutto stiamo facendo anche formazione nelle classi degli istituti secondari superiori della zona».

 

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A cura di Carol Serafino