Negli ultimi mesi abbiamo riportato varie storie di disagi legati alla crisi da Covid-19, inviateci dai nostri lettori. Storie che si sono aggiunte ai moniti di medici e infermieri, che ci hanno raccontato dall’interno la pressione a cui sono sottoposte le strutture ospedaliere in questo periodo. Questa volta mi trovo ad aggiungere personalmente un tassello al quadro, che mostra una situazione in parte già nota.

Dal 2 novembre, giorno in cui ho manifestato alcuni sintomi riconducibili al Covid-19, sono in isolamento, senza essere a conoscenza dell’esito del tampone effettuato tre settimane fa. Dopo ripetute telefonate al centro Covid di Barletta, i miei genitori si sono recati presso l’Ufficio Igiene, dove è stato chiarito che, per un problema di comunicazione con la Regione Puglia, gli operatori non erano in grado di ufficializzare l’esito del mio test.

Mancava, quindi, un ultimo passaggio. Quasi una formalità, data anche la prolungata quarantena a cui mi sono sottoposta, che procede ormai da più di 21 giorni dall’ultimo giorno in cui ho manifestato sintomi. E invece ieri ho ricevuto una telefonata da parte della ASL in cui mi è stato comunicato che dovrò effettuare un secondo tampone oggi, poiché l’esito di quello effettuato in precedenza è “incerto”. Dopo un mese, non so ancora se ci sia il rischio che io abbia contagiato qualcuno prima di manifestare i sintomi.

La mia non vuole essere una critica sterile. So che gli operatori del sistema sanitario sono oberati di lavoro e che la situazione è difficile da gestire. Io continuerò a portare pazienza, sperando di poter tornare quanto prima al mio lavoro e alla mia vita quotidiana.

Ma non posso fare a meno di mettermi nei panni di chiunque possa trovarsi in una situazione simile alla mia, senza avere le mie fortune. Senza un appartamento in cui poter trascorrere il periodo di isolamento, senza un lavoro stabile, senza il supporto della famiglia o con una famiglia da accudire. Per molti,trovarsi in una situazione simile potrebbe recare danni irreparabili.