Ci sono voluti sei anni di battaglie legali e diverse sentenze sino alla cassazione per vedersi restituire un addebito illegittimo di 35,18 euro da un operatore telefonico per il recesso dal contratto. E’ la vittoria giudiziaria di una donna di Barletta che ha battuto il colosso TIM a cui è stato ritenuto inammissibile anche l’ultimo ricorso in Cassazione. L’ordinanza numero 10039 pubblicata ieri ha stabilito, infatti, che non si deve pagare una somma per la disattivazione dell’utenza telefonica perché la mera indicazione delle spese di recesso nelle “Condizioni generali di contratto” pubblicate sul sito dell’operatore non può ritenersi vincolante per il cliente.

Prima il Giudice di Pace di Barletta nel 2016, davanti al quale la Telecom era stata citata per l’illegittimo addebito della somma di 35,18 euro a titolo di spese di disattivazione dell’utenza, poi il Tribunale di Trani (nel 2019) avevano dato ragione all’utente condannando Tim a restituire alla cliente la somma pagata per la cessazione. Il Tribunale, in particolare aveva rigettato l’appello, in quanto “nessuna clausola contrattuale sottoscritta dall’appellata autorizzava Telecom a riscuotere detta somma”. A questo punto Tim ha proposto ricorso in Cassazione affermando, tra l’altro, che non trattandosi di “clausole vessatorie” non era richiesta una specifica approvazione scritta, mentre l’aderente aveva il dovere di informarsi sulle condizioni generali di contratto. Per la VI Sezione civile della Corte di Cassazione, tuttavia, i motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità. Non solo, la società è stata condannata anche al pagamento delle spese.

Un’ordinanza della Corte che farà sicuramente giurisprudenza, un’ordinanza che arriva al termine di una lunga battaglia legale portata avanti dall’utente barlettana.