Se il desiderio era “far nascere un fiore nel nostro giardino”, giovedì 30 giugno, durante il quarto appuntamento di Storie, Libri e Cucina in Piazza Marina, più di quattrocento semi hanno irrorato cultura, conoscenza e soprattutto amore per la città della Disfida.

Con l’organizzazione dell’associazione culturale Piazza Marina in concertazione con l’amministrazione comunale di Barletta e con il presidio Libero della Bat (con sede a Trani), al cospetto di Porta Marina, in una suggestiva (quanto ariosa) cornice, l’attore milanese Dario Leone ha omaggiato Giovanni Falcone con il monologo teatrale Bum ha i piedi bruciati, tratto dal libro Il piccolo Giovanni Falcone.

Di scena, uno spaccato sulla vita di Falcone, raccontato in vesti “inedite”, immanenti, veridiche. Il magistrato visto come un uomo dagli occhi degli uomini.

Accenti di appassionata malinconia, di intensità commovente, affiancati da istanti di goliardia, di quotidiana ilarità, di scoramento, di dolore. Dario Leone ha restituito alla folta platea un caleidoscopio di Giovanni, declinato in ogni sua sfaccettatura: dall’amore per il mare di Mondello, “il suo mare”, suo locus amoenus, fino alla presa di coscienza del serpe mafioso in seno alla Sicilia.

Ha ripercorso i prodromi delle sue ricerche, che da Trapani lo hanno portato a Palermo e poi a Roma, a contrastare con la legge dei giusti, la “legge del più forte”, incardinata nella cultura siciliana ormai da così tante generazioni da apparire ordinaria, “naturale”.

“Pagare il picciotto con gli occhiali per me era come pagare la bolletta del gas ogni mese”, spiega al pubblico la persona loquens, colui che racconta col retrogusto amaro della consapevolezza la storia di Bum, l’orango tango di peluche dai piedi bruciati regalato al suo bambino. Lo stesso peluche superstite di un attentato mafioso, che con una bomba aveva provato a radere al suolo il negozio della voce narrante, rea di essersi ribellata al “congegno” degli uomini d’onore.

La platea ha assistito visivamente ad ogni fenditura, ad ogni screpolatura, ad ogni rinascita, di Giovanni Falcone, condannato ad una vita coercitiva, costrittiva, costantemente monitorata dalla scorta e privata di ogni lembo di normalità, eppure sempre in grado di autorigenerarsi e rinascere dalle proprie ceneri, più combattivo e desideroso di vivere una vita libera da Cosa Nostra.

La rinuncia ai figli, all’amore, la perdita del mentore Rocco Chinnici, di Antonino Caponnetto, di tutti coloro che, proprio come una vincente squadra di calcio (prendendo in prestito una similitudine tratta dallo spettacolo) realizzarono il primo pool antimafia e il primo maxiprocesso contro più di quattrocento capi mafiosi: tutto si è avvicendato davanti agli occhi del pubblico, veicolato dall’interpretazione di Dario Leone. Tutto al servizio della giustizia.

Alla fine, il 23 maggio 1992, nella strage Capaci, Giovanni Falcone perse la vita. Perse la vita mentre compiva azioni normali: guidare dall’aeroporto di Palermo fino alla città, conversare con la sua Francesca, guardare ammirato una collina… la stessa collina che fu suo presagio di morte.

Eppure, Giovanni ha vinto: ha vinto per tutti coloro che hanno capito che l’uomo è sempre uomo e non esistono uomini invincibili.

Ha vinto per la Sicilia, che non è la terra della mafia, ma è la terra di chi la mafia ha voluto combatterla.

La chiusa della serata è stata suggellata da un lungo e sentito applauso, in piedi per Dario, interprete mirabile, ma soprattutto per Giovanni: per il magistrato che aveva le fragilità di ogni uomo ma gli ideali di un eroe.

Vi ricordiamo il prossimo e ultimo appuntamento il 5 luglio con Mario Giordano e Tromboni: attualità e politica in piazza per un dibattito a cielo aperto.

 

A cura di Carol Serafino