È il maggio del 2016 quando, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, è vittima di un attentato. Il movente è un protocollo, contro la criminalità organizzata nel settore agroindustriale, che porta la sua firma. A sostenerlo con forza, nonostante le ovvie cautele legate alla sua posizione, è il procuratore generale di Messina, Vincenzo Barbaro. Nato a Santo Stefano di Camastra l’11 gennaio 1968, laureato in economia e specializzato in attività bancaria, Antoci si è candidato al Senato alle politiche del 2013. Successivamente è stato presidente del Parco dei Nebrodi e dal 30 marzo 2014 è coordinatore regionale della Federparchi siciliana.

 

A presentare alla città di Barletta la sua grande personalità -nella giornata di martedì 7 novembre, nella cornice della chiesa di Sant’Andrea- è il centro studi “Barletta in rosa”, insieme al dott. Lorenzo Chieppa, presidente della sezione dell’associazione di volontariato “Caritas” di Barletta, che introduce l’evento, e al moderatore della serata Giovanni Di Benedetto, giornalista di Telenorba. Presenti anche il presidio locale di “Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie”, l’arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie Leonardo D’Ascenzo ed infine il procuratore generale della Repubblica di Trani dott. Renato Nitti. Una serata molto partecipata e in cui Antoci stesso, con le sue parole, ha presentato se stesso agli ascoltatori non tanto come un “eroe dei nostri tempi”, ma semplicemente come un padre di famiglia che da tutta la vita si impegna per tenere alto il valore della legalità.

Non si ha proprio certezza assoluta di quale sia stato il movente dell’attentato ad Antoci, ma è assai verosimilmente riconducibile all’adozione del protocollo, da lui introdotto, a discapito della mafia rurale dei Nebrodi. Il protocollo prevede la presentazione del certificato antimafia anche per i bandi inferiori a importi di 150 mila euro, un danno per i truffatori che spremono milioni di euro alla Comunità Europea. Il protocollo Antoci viene poi esteso in tutta la Sicilia, recepito dal nuovo codice antimafia e applicato in tutta Italia. Giuseppe Antoci comincia così a ricevere premi e riconoscimenti, entrando però nel mirino della mafia: prima con semplici minacce, per cui gli viene affidata una scorta. Poi si passa ai fatti: un attentato alla sua vita che però fallisce. «Il protocollo è stato uno strumento -spiega Antoci durante la serata- Ho raccontato questa storia nel libro “La mafia dei pascoli”, che fu presentato a Roma alla presenza di tutte le autorità dello stato. Se in quell’occasione avessi raccontato che una parte dell’aeroporto Punta Raisi di Palermo fosse in mano ai mafiosi, non mi avrebbero creduto».

Nel 2022 si è dunque concluso il processo alla cosiddetta mafia dei Nebrodi, quei clan messinesi che avevano messo in piedi una truffa milionaria ai danni dell’Unione europea. Sono state decise condanne per 600 anni complessivi a carico di 90 persone (una prescrizione e 10 assoluzioni). La Corte ha disposto anche la confisca di 17 ditte individuali e società agricole, e il risarcimento per gli imprenditori che avevano denunciato l’appropriazione dei terreni da parte dei mafiosi, le associazioni antiracket e tutte le altre parti civili costituite. Ma Antoci, nonostante la vittoria, mostra un atteggiamento ancora volto a combattere e cercare di capire più da vicino la mentalità criminale. «Bisogna analizzare la parte psicologica e ragionare come loro. Solo così si può comprendere da dove deriva tutto questo odio. Io penso che, come la moglie di un ufficiale sa a cosa va incontro, anche la moglie di un mafioso sa che il marito potrebbe andare in carcere. L’odio quindi non deriva dall’arresto, ma dal fatto che alla famiglia del mafioso vengono tolti tutti i beni, le macchine o le case di lusso e, di conseguenza, anche quel timore e quella rispettabilità seminati sul territorio, vanno via. La frase che ho infatti sentito più spesso è: “ci hanno rovinato”».

La serata si conclude con l’invito di Antoci a «Non pensare “non tocca a me ma allo stato”, come se lo stato fosse un’altra cosa. Non necessariamente bisogna essere pubblico ufficiale oppure politico per poter dare un contributo a risolvere le cose. Se siete insegnanti, innestate nei giovani il seme della legalità. Se siete genitori, educate i vostri figli al fatto che sono loro, non il futuro, ma il presente della nostra società».

A cura di Francesca Caputo