Era il 20 aprile del 1948 quando il barlettano Francesco Di Cataldo, Maresciallo Maggiore scelto del Corpo degli agenti di custodia, cadde in un agguato terroristico per mano delle Brigate Rosse, proprio sotto casa sua, a Milano. Ad oggi sono passati quarant’anni dal quel tragico giorno, in cui l’ennesima vittima del terrorismo sacrificò la sua vita al valore della giustizia, della società e dello Stato. Un momento speciale avrà luogo oggi alla presenza del Ministro della Giustizia Orlando: in via XX Settembre, 85, a Barletta, alle 15:50 si scoprirà una targa commemorativa per celebrare Francesco Di Cataldo, un uomo rivoluzionario e scrupoloso che abbiamo voluto farci raccontare dal figlio Alberto, oggi a Barletta in occasione della speciale cerimonia.

Alberto ci ha raccontato gli attimi e le emozioni di un giorno indelebile nella sua memoria e nella memoria di chi amava Francesco, parlandoci del padre e dell’uomo, amato e rispettato per la sua grande dedizione al lavoro e per uno spirito straordinariamente moderno ed umano. “Sei stato sicuramente un bravo funzionario dello Stato. E sei stato un buon padre. Assente da quarant’anni, ma sempre presente. Fino a togliere il respiro”, così Alberto racconta suo padre in una commuovente lettera a lui dedicata.

Sono passati quarant’anni dal tragico giorno dell’attentato a suo padre, quali sono le emozioni di un figlio in una giornata così importante?

«Si tratta in realtà per me più che di una sola emozione di una vera e propria tempesta di emozioni, legata al luogo in cui si terrà la cerimonia, perché la targa verrà scoperta dove nacque mio padre e dove io ho passato delle estati meravigliose, quando andavamo dalla nonna e si riuniva tutta la grande famiglia Di Cataldo. Un’emozione molto forte insomma, legata ad un passato molto bello».

Dove si trovava quel giorno dell’attentato a suo padre e cosa pensò nel momento in cui apprese la notizia?

«Mio padre è stato assassinato alle 7:10 del mattino, all’epoca avevo diciannove anni e stavo preparando la maturità, ero nel mio letto e in quell’istante mi sono alzato perché ho sentito il trambusto in casa, così mi sono affacciato alla finestra ed ho visto mio padre supino. Ciò che ho pensato è che non fosse lui, la cosa mi sembrava talmente incredibile, per questo sono sceso in strada, volevo rendermi conto che fosse proprio lui e appena sono arrivato davanti a lui l’ho riconosciuto, aveva ancora gli occhi sgranati. Una incredulità indescrivibile mi ha assalito, una scossa terribile, che mi turba ancora adesso mentre racconto».

Qual è il ricordo più dolce che conserva di suo padre?

«Il ricordo più bello sono sicuramente le estati al mare a Barletta, il momento in cui papà si rilassava, erano momenti di grandi tavolate con i parenti, di gite ai lidi o al paraticchio, le nuotate infinite vicino alla teleferica che portava il sale da Margherita sino al porto di Barletta, gli zii che si arrabbiavano perché non uscivamo mai dall’acqua, ricordi di una dolcezza e di una vita collettiva molto forte ed affettuosa che mio padre per sua natura e carattere riusciva a radunare. Quando arrivavamo da Barletta da Milano, intorno a lui e a noi si radunavano tutti, tutta la famiglia. Per questo mi emoziona tantissimo che la targa venga messa proprio in a casa della nonna, dove passavamo queste splendide estati tutti insieme».

Era un uomo amatissimo anche nello stesso carcere di San Vittore, cosa raccontano di lui i suoi amici di un tempo?

«Raccontano di un uomo di grande fermezza ed al tempo stesso di grande apertura e disponibilità verso gli altri. Un uomo che viveva in una condizione di fortissima tensione. All’epoca il carcere di San Vittore era ad altissima violenza interna, omicidi, suicidi ed una situazione di forte conflittualità. Eppure raccontano mio padre come una persona che riusciva a creare un clima più disteso anche in un ambiente del genere. Un uomo moderno che viveva una responsabilità molto pesante, con equilibrio e con un grande gioco di squadra, con un impegno totalizzante. Aveva sempre una parola per tutti, tant’è che quando fu ucciso mio padre, molti agenti di custodia del tempo si congedarono, per loro fu un trauma fortissimo. Tra mio padre e gli agenti non c’era solo un rapporto lavorativo ma anche e soprattutto un forte legame a livello umano».

Oggi il Ministro Orlando sarà a Barletta nella cerimonia in cui è protagonista la memoria di suo padre, per celebrare le vittime della mafia e del terrorismo. Cosa rappresenta per lei il valore della giustizia?

«La giustizia per me, grazie agli insegnamenti di mio padre, è qualcosa di assolutamente concreto, non un concetto astratto. Mio padre ha creato le condizioni a San Vittore e soprattutto a Milano per un modello di detenzione moderno che aiuta i detenuti a non tornare in carcere, a farli lavorare e far comprendere loro il peso di quanto hanno fatto, con benefici per tutti ed un senso profondo di giustizia. Rieducare i condannati, come dice l’art. 27 della Costituzione è un valore imprescindibile. Di giustizia ne possiamo discutere per ore in modo accademico, ma dobbiamo adoperarla in modo concreto. Bisogna per questo costantemente proporre, costruire e rendere operative le condizioni materiali perché la giustizia si realizzi».