Edizione 2020 del Giro d’Italia ad ottobre per l’emergenza Covid-19. Passaggio da Barletta sabato prossimo 10 ottobre. Ma quarant’anni, quando ci fu qui da noi l’arrivo di tappa come evento sportivo a carattere nazionale con tutti gli occhi dell’Italia puntati addosso, fa c’era lui, Gino Bartali, l’ultimo gran patriarca della storia ciclistica italiana, in tribuna d’onore: commentava nel “Processo alla tappa” per la Rai che “l’è tutto sbagliato, l’é tutto da rifare”. Ma alla città di Barletta fece i complimenti proprio lui per primo: fu tutto perfetto.

E c’ero anch’io, da più giovane corrispondente per La Gazzetta del Mezzogiorno e membro del comitato locale di tappa quale addetto stampa nell’edificio scolastico della d’Azeglio vicinissimo al traguardo. Era giovedì 29 maggio 1980: l’arrivo in città della tredicesima tappa del 63° Giro d’Italia, la Lecce-Barletta, una delle più lunghe e “panoramiche” di quell’edizione partita da Genova e giù giù nello Stivale per poi risalire da Lecce, raduno a piazza Sant’Oronzo, il “via” da Porta Napoli. Traguardi regionali a Brindisi e Bari.

Ben 220 kilometri per attraversare tutta la Puglia da sud a nord, risalendo la regione per approdare con la scelta obbligata proprio di Barletta nella stesura del programma sportivo. All’indomani, la carovana dei “girini” si sarebbe trasferita a Foggia ripartendo poi dalla Capitanata verso Roccaraso. Ma fu quella Barletta tutta entusiasmo e dell’orgoglio sportivo a fare gli onori di casa, a ricevere il premio più grande davanti a tutta l’Italia televisiva dopo decenni di ciclismo pionieristico su strada in formato regionale ed oltre: Barletta sede nel dopoguerra dell’U.V.I. (Unione Velocipedistica Italiana) grazie alla caparbietà di Mosé Sanna ed Antonio Riccheo, promotori del Giro di Puglia e Basilicata, come pure di Michele Lanotte, col suo gruppo sportivo ed il “Giro dell’otto” chiamato così proprio perché disegnava quel numero sulla carta geografica delle futura Provincia Barletta-Andria-Trani. In quegli anni, anche il ciclismo su pista trovò in Barletta un tangibile punto di riferimento con il velodromo in cemento nello stadio comunale intitolato a Lello Simeone. E di cui oggi si punta alla riqualificazione con una sperata pioggia di finanziamenti…

In quella memorabile giornata di primavera inoltrata e sotto uno splendido sole di maggio fu tutta la città a godersi i fotogrammi finali dell’evento in una stagione forse irripetibile dello sport-spettacolo (ed ancora fuori dal doping) più popolare, tipico del Giro d’Italia. Come succederà sabato prossimo, la carovana proveniva da via Trani ma, anziché deviare verso litoranea di ponente e lungomare Pietro Mennea, entrò in velocità a Barletta da piazza Fratelli Cervi, all’epoca un grandissimo spazio stradale senza il monumento a Fieramosca, installato nel precedente mese di marzo nei giardini del Castello. Già lì furono centinaia i barlettani assiepati ed entusiasti a dare il benvenuto ai corridori che sfilarono poi lungo corso Cavour col suo “pavè” di sanpietrini per svoltare compatti a sinistra lungo corso Garibaldi con una sequenza da film di massa.

Passaggio da piazza Monumento: e finalmente ecco spuntare in fondo lo striscione dell’arrivo nei pressi della scuola elementare D’Azeglio al termine del rettilineo sull’incrocio fra viale Giannone, via Imbriani e via Baccarini. Pomeriggio di sole, le quattro del pomeriggio, un ordinatissimo e festante bagno di folla dietro le transenne, tantissime foto ricordo e gli autografi dei campioni (Battaglin, Panizza, Baronchelli, Visentini).

Ma soprattutto con lui, Beppe Saronni, il vincitore della tappa: personaggio tutta simpatia, il bello che piaceva alle donne, distintosi per quella sua volatona sul gruppone degli avversari. Furono infatti le sue tantissime fans ad applaudirlo in mezzo al pubblico… Questo l’ordine di arrivo ufficiale, con le rispettive scuderie: 1° Saronni (Gis Gelati); 2° Bertin (Francia: Renault-Gitane-Campagnolo); 3° Martinelli (Mobili San Giacomo-Benotto); 4° Gavazzi (Magniflex); 5° Mantovani (Hoonved-Bottecchia); 6° Moser (Sanson-Campagnolo); 7° Morandi (Hoonved-Bottecchia) ; 8° Villemiane (Francia: Renault-Gitane-Campagnolo); 9° Hindelang (Germania: Kondor ); 10° Tosoni (Famcucine-Campagnolo).

Saronni vinse poi altre sei tappe, terminando al settimo posto della classifica finale: la maglia rosa fu vestita dal francese Bernard Hinault (Renault-Gitane- Campagnolo)

Il “quartier tappa” venne sistemato un paio di giorni prima nella scuola elementare D’Azeglio, che volentieri si offriva come punto logistico: sala stampa, direzione, organizzazione, giuria e i telefoni per i giornalisti, in un’epoca senza cellulari (difficile spiegarlo…) e dove per dettare il pezzo agli stenografi bisognava chiedere al centralino la telefonata in partenza da Roma, Bari o Milano, quella benedetta “erre” che appunto significava la chiamata a carico del giornale. Altri tempi davvero. Ma belli da ricordare per averli vissuti…

 

Nino Vinella

giornalista