A prima vista i silos del porto di Barletta altro non sono se non uno dei tanti esempi di edifici legati alle attività produttive che nella storia si sono succedute nella nostra città. Eppure, ai nostri occhi, pare che questi ventidue cilindri di cemento, che si stagliano lungo la costa con una disarmante purezza espressiva e formale contribuendo alla definizione dello skyline cittadino, siano lì silenziosi in attesa che l’uomo, un tempo fautore della loro nascita, si accorga della loro presenza non per i limiti che definiscono, quanto per le potenzialità che custodiscono all’interno del proprio guscio.

È necessario riconoscere il più sincero valore storico ed architettonico dei silos, in quanto, come Salvatore Settis ci insegna, «il patrimonio culturale può e deve avere una posizione chiave nello sviluppo del Paese» perché la sua vera «redditività» non è negli introiti diretti e nemmeno nel turismo e nell’indotto che esso genera, bensì nel profondo senso di identificazione, di appartenenza, di cittadinanza che stimola la creatività delle generazioni presenti e future con la presenza e la memoria del passato».

I caratteri architettonici dei Silos di Barletta, seppur coerenti con il linguaggio novecentesco, si discostano prepotentemente dalla modernità a cui siamo abituati in termini di proporzioni. La loro principale forza è esattamente questa: sono un’opera pensata dall’uomo a servizio dell’uomo in una scala che non appartiene affatto a quella umana. Walter Gropius (uno dei fondatori del Bauhaus), nel 1913, descriveva i silos come degli edifici dalla monumentalità così prepotente da poter reggere il confronto con l’opera degli antichi Egizi. Delle grandi cattedrali della produzione talmente imponenti da essere in grado di costruire autonomamente paesaggi inediti. Inediti perché figli della modernità a noi più vicina. Quella modernità che ha contribuito in maniera attiva alla costruzione di un pezzo di storia e che oggi spinge tutti noi a dover riflettere su un nuovo significato del concetto di “monumento”. Un passo che, in fondo, la Regione Puglia, con il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR), ha già compiuto da diversi anni, considerando “ quei significativi elementi patrimoniali del territorio sotto il profilo storico-culturale, paesistico-ambientale e infrastrutturale” come “invarianti strutturali”, in quanto concorrono all’integrità fisica e all’identità culturale del territorio. Un passo compiuto già anche dalla vicina città di FOGGIA, dove, nel 2008, i Silos Granari, sono divenuti oggetto di tutela in quanto riconosciuti da parte della Soprintendenza ai Beni architettonici di Bari e Foggia come «sito di archeologia industriale di interesse storico e artistico».

È evidente che i silos di Barletta, come quelli di Foggia, siano testimonianza viva della storia economica e sociale della nostra comunità. Ci chiediamo, allora, come possa una città come la nostra, nata, proprio come porto commerciale per i traffici di lane e grano a servizio della vicina Canusium, dimenticarsi delle proprie radici culturali. Domanda, questa, che rivolgiamo alle amministrazioni promotrici del provvedimento di abbattimento dei silos, nella piena consapevolezza del contesto normativo entro cui tale decisione è stata portata avantiIl Codice Civile ed il Codice della Navigazione, difatti, non lasciano spazio ad equivoci o interpretazioni: a scadenza di concessione, il concessionario (Casillo S.p.A.) è obbligato a ripristinare lo status quo ante la concessione a sue spese, demolendo le opere realizzate sul suolo demaniale, nel caso in cui l’amministrazione non intenda acquisirle. Se ne deduce, pertanto, che la decisione di abbattimento sia stata portata avanti dall’Autorità Portuale, probabilmente in accordo con il Comune o su proposta del Comune stesso, per disinteresse verso la possibile acquisizione dei silos, senza che vi sia stata traccia alcuna di tale riflessione sui documenti relativi ai piani futuri del porto da parte di entrambe le amministrazioni. Anzi, stando a quanto definito dallo stesso documento strategico dell’Autorità di Sistema Portuale, pubblicato ad ottobre 2019, il ”problema silos” non sembrerebbe essere annoverato tra le possibili minacce per lo sviluppo del nostro porto. Di conseguenza, ci chiediamo anche se il mancato rinnovo della concessione, a causa del disinteresse da parte della società Casillo S.p.A. nei confronti del nostro bacino portuale, possa considerarsi condizione sufficiente per procedere all’abbattimento senza alcuna fase interlocutoria tra amministrazioni e cittadini, associazioni, collettivi, tecnici, architetti, pianificatori, ordini professionali e artisti della nostra città. Può una società indipendente dalle amministrazioni, divenire motore di cambiamento del nostro skyline in tempi così brevi? Una corsa a perdifiato verso il futuro, tra la volontà di cambiare la vocazione del nostro porto da commerciale a turistica, la presunta necessità di attuare importanti interventi di manutenzione a fronte di un solo anno e mezzo di inutilizzo ed il paradosso di voler ubicare una banchina per l’approdo di mini crociere di lusso all’interno dell’area commerciale del porto, piuttosto che nella futura darsena turistica, prevista dallo stesso preliminare del Documento di Pianificazione Strategica del Sistema Portuale.

Allungare l’orizzonte della prospettiva è forse la chiave per comprendere l’esigenza di elevare i silos allo status di “patrimonio della comunità”, come già accaduto in altre parti del mondo. Interventi, di portata ed intenzioni differenti, lavorando proprio sulla visione comunitaria della cosa pubblica, hanno sortito sempre lo stesso effetto: una rinascita economica e sociale di porzioni di città che, assumendo nuovi ruoli e nuovi significati, sono state restituite alla comunità. È accaduto a Guangzhou in Cina, dove nel 2012 lo studio di progettazione O-office ha trasformato i silos degli anni ’60 in uno spazio polifunzionale con bar, uffici, depositi e aree commerciali, rendendo la vecchia struttura in cemento armato un punto panoramico della città. È accaduto nel 2015 a Catania, dove, grazie al progetto “Street Art Silos”, i silos del porto, con un approccio forte e sostenibile, hanno potuto accogliere il murales più grande del mondo, dipinto dall’artista portoghese Alexandre Farto in arte Vhils. È successo a Shanghai, nel 2018, con la trasformazione dei silos in un’infrastruttura paesaggistica in grado di combinare il vecchio ed il nuovo, andando ad integrare l’architettura post-industriale con il contesto contemporaneo. O ancora, a Buffalo, negli Stati Uniti, dove, sulla sponda meridionale del fiume Buffalo ha preso vita “Silos City”, un grande contenitore culturale che, a fronte di interventi minimi, è oggi in grado di ospitare esposizioni di opere d’arte, spettacoli, laboratori ed eventi dal vivo. Ne sono testimonianza i silos di Cape Town, in Sud Africa, che, riconosciuti come segno della storia industriale della città, sono stati riconvertiti nel 2017 nel “Museum Of Contemporary Art Africa”, in grado di accogliere oltre 100.000 visitatori al giorno. Ne rappresentano un esempio anche Silos di Brim in Australia, divenuti delle gigantesche tele sulle quali oggi è possibile ammirare la gente, la storia e la natura del luogo.

Questi i modelli a cui facciamo riferimento, perché certi che rappresentino al meglio quello che i silos di Barletta potrebbero divenire, passando da zona di traffici commerciali ad area di traffici culturali, accogliendo con entusiasmo la possibile futura crescita turistica ed offrendo alla città nuova ricchezza, non solo a livello economico, ma anche intellettuale ed artistico.

Un percorso sicuramente complesso che richiede tempo e impegno. È per questo che sentiamo di voler ringraziare tutti coloro che hanno deciso di prendere parte a questa iniziativa, dando vita ad un gruppo stratificato ed in costante crescita composto da giovani professionisti attivi sul territorio. L’unico obiettivo è quello di poter costruire, insieme, una visione condivisa sul futuro della nostra città, partendo dall’ idea secondo cui il confronto è sempre occasione di crescita.

Francesca Maria Abbattista (architetto_classe 91), Ilaria Antonucci (Dottore in architettura/ing. edile_classe 85), Marco Bruno (guida turistica_classe 88), Massimiliano Cafagna (architetto_classe 88), Anna Maria Camapese (architetto_classe 89), Alessandro Cascella (guida turistica_classe 91), Luigi Leonardo Cascella (graphic designer_classe 94), Francesco Capacchione (programmatore grafico_classe 90), Alessandro Chiandetti (architetto_classe 84), Giada Centaro (architetto_classe 92), Giuseppe Cesario (ingegnere civile-ambientale_classe 91), Roberata Colucci (guida turistica_classe 95), Domenico Comitangelo (geometra_classe 86), Tommaso Crescente (architetto_classe 84), Giuseppe Croce (graphic designer_classe 91), Francesco Delrosso (graphic designer_classe 88), Erica Davanzante (laurea in beni culturali_classe 92), Lucia Dimonte (architetto_classe 91), Claudia Dipaola (laurea specialistica in Arti Visive__classe 94), Simona Falcetta (laurea specialistica in storia dell’arte_classe 91),  Donato Filannino (designer_classe 89),  Angela Fusillo (accademia delle belle arti_classe 97), Francesca Iervolino (ingegnere ambientale_classe 91), Leone “Narrow” Ignazio (artista_classe 87), Rosa Lacavalla (fotografa documentaria_classe 93), Marco Lacerenza (graphic designer_classe 88), Giulia Maria Lombardi (laurea specialistica in Arti Visive_classe 94), Antonio Lionetti (graphic designer_classe 88), Davide Napolitano (ingegnere civile_classe 88),  Chiara Maringiò (architetto_classe 90), Antonio Paolillo (architetto_classe 88), Michle Porcelluzzi (laurea in architettura_classe 94), Michele Porceluzzi (laurea specialistica in storia dell’arte_classe 85), Kris Rizek (artista), Saverio Rociola (graphic designer_classe 88), Angela Rutigliano (architetto_classe 91), Maria Alessandra Rutigliano (architetto_classe 91), Ilaria Russo (laureanda in arch._classe 91), Isabella Scommegna (architetto_classe 92), Marina Strippoli (architetto_classe 88), Ornella Spadaro (architetto_classe 92), Laboratorio di Immaginazione UrbanaFree Walking Tour Barletta, Arci Cafiero, Collettivo Exit.