A cura di Viviana Damore

Sempre più giovani sono vittime di bullismo e particolarmente, in questo periodo di esplosione dell’uso dei social network, di cyberbullismo. Lo scorso sabato si è tenuto un convegno sul tema, nella corte del Palazzo della Marra, durante il quale sono state fornite strategie vincenti per poter affrontare il problema. Tra gli esperti che hanno preso parte al convegno vi era la dottoressa Paola Francesca Spadaro, psicologa e psicoterapeuta, che abbiamo intervistato nell’occasione e a cui abbiamo chiesto consigli e rimedi per intervenire nell’immediato in caso di atti di bullismo.

Quali sono i segnali mediante i quali individuare casi di bullismo?«Per frenare il fenomeno dobbiamo attivarci come famiglie, come docenti e come adulti, riferimento per i bambini ed i ragazzi per la maggior parte del loro tempo. I segnali della vittima possono essere vestiti strappati, oggetti che non si trovano più, libri rotti a volte anche ferite corporee. Per il periodo storico in cui siamo però il cyberbullismo sta prendendo molto piede e questo significa che spesso i ragazzi bullizzati non presentano segni evidenti. Spesso tornano a casa con segni di malumore, arrivano talvolta anche alla depressione, non desiderano più uscire, non guardano più i loro preferiti social network. I sintomi a cui fare attenzione sono i sintomi evidenti di un trauma in quanto una persona bullizzata è una persona traumatizzata. Quindi anche quando vengono evitati troppo spesso luoghi o contesti particolari, l’isolamento sociale, gli incubi di notte possono essere tutti segnali evidenti. Per quanto riguarda il bullo stesso, i sintomi sono legati al fatto che spesso questi ragazzi hanno difficoltà a rapportarsi con le autorità, agiscono spesso da leadership, spesso sono molto popolari. Talvolta certe azioni aggressive vengono perpetrate ai danni di familiari, in questo caso vanno attivati i campanelli d’allarme».

Cosa si fa per prevenire azioni di bullismo?«Il bullismo è sicuramente la punta di un iceberg, serve un’azione sistemica in quanto in realtà il bullismo è causa del fatto che il ragazzo oltre ad avere le sue problematiche vive in un tessuto sociale scarsamente denso. Nel momento in cui il ragazzo sente di non appartenere saldamente ad una comunità che sia quella scolastica o familiare, se queste comunità non sono connesse tra loro, si presenta più frequentemente una situazione di bullismo. Si deve agire quindi sul piano personale, aiutando il ragazzo bullo ad essere pro-sociale, utilizzando e canalizzando le sue energie e risorse in senso pro-attivo, dall’altro lato aiutare la vittima a costruire un senso di identità, autostima e appartenenza al sociale. Infine bisogna lavorare sul piano sociale, costruendo un buon clima di classe, un buon clima comunitario».

Secondo il suo parere e la sua esperienza professionale quanto è radicato il fenomeno nel nostro territorio?«Stando a quanto dicono le statistiche tre ragazzi su dieci hanno assistito ad un atto di bullismo o lo hanno subito. Stiamo parlando del 30% dei ragazzi quindi un fenomeno dalle proporzioni gigantesche. Non dobbiamo dimenticare che il bullismo può arrivare ad essere reato, ci sono dei distinguo da operare tra lo scherzo e invece le azioni ripetitive e violente. Nella mia pratica professionale, lavorando con i ragazzi più disagiati, attesto quanto più o meno dagli undici anni in su comincino gli atti di bullismo, tra la fine della scuola elementare  e l’inizio della scuola media i ragazzi subiscono o agiscono con atti di bullismo, il più delle volte senza nemmeno rendersene conto. Il fattore protettivo tra i più importanti è proprio una presenza adulta più responsabile in quanto spesso riesce a scombinare i piani anche più aggressivi».