«Ogni semplice manuale di economia dei trasporti (urbani o industriale), oppure ogni minima proposta di realizzare una certa infrastruttura (stradale, portuale, etc.) su un preciso territorio, ci invita preventivamente a valutare l’analisi dei costi-benefici insieme alla produttività degli obbiettivi proposti.  Diciamo subito che Barletta pur essendo stata la gemma nascosta del made in Italy dello sviluppo manifatturiero (fino a sfidare la rampante economia globale), non è mai stata inserita nelle aree Asi (are di sviluppo industriale) a ragione della sua struttura endogena basata su piccole a media imprese». Prende il via così la nota di Nicola Palmitessa del Centro Studi La Cittadella Innova. «Il risultato disastroso è stato che ogni possibile soluzione ai nodi di uno sviluppo spontaneo del territorio, è come ricaduta del tutto sulle intelligenze dei locali programmatori del Comune. Mentre La sorniona Molfetta, per fare un solo esempio, con la sua Asi ha potuto programmare e attuare felicemente un notevole e moderno sviluppo industriale, benché calato dall’alto (sviluppo esogeno). Le politiche liberiste delle eterne giunte di sinistra, fondate sul non intervento del “lascia fare e il lascia passare” (laissez faire) dei politici nostrani, ha poi generato una moltiplicazione di problemi mai risolti. E risolvibili solo da una nuova idea di sviluppo di eccellenza».

Recentemente- ricorda Palmitessa- sulla questione del traffico pesante «la Confindustria zona Bat ha replicato al forum Salute e Ambiente rimarcando serietà e complessità del problema, facendo ora una chiara sintesi dei Progetti Strategici per lo sviluppo Urbano sostenibile già concordati con il Comune di Barletta già dallo scorso anno (30 agosto 2016).  Detto in breve, tutta la viabilità della città – rimasta immutata dagli anni Sessanta – è costellata da una molteplicità di nodi inestricabili (quella di Via Andra, quello di Via Trani, quello della 16bis etc.). Nodi che confluiscono e si sovrappongono con l’area portuale. Un esempio. Via Andria è un complesso asse viario di collegamento: con la statale 16bis, l’autostrada A14, il porto e la stessa vasta zona industriale. La contraddizione è quella di essere sia zona industriale che residenziale. Al grande flusso di mezzi pesanti verso il porto, si accompagna anche il traffico urbano. E d’estate l’enorme flusso di bagnati che assediano le litoranee. Quella di Ponente e quella di Levante replicano identiche contraddizioni. Dunque il nodo dei nodi è l’area portuale».

«Se il vero nodo è salvaguardare l’identità industriale della città, l’interrogativo doveroso è: quali sarebbero le nuove e possibili strategie di sviluppo industriale e urbano dell’antica città marinara? Le sue arterie urbane e industriali sono intasate da un imprevisto traffico sempre più intenso? Oppure sono le stesse vecchie arterie preindustriali da ripensare alla luce di un radicale mutamento strategico? Ho più volte scritto, detto e ribadito (anche durante le proposte per l’elaborazione Pug) che l’area portuale e litoranee di Ponente e Levante, sono immutate non dagli anni ’60, ma dall’Ottocento. Perciò, facendo solo attenzione alla semplice economia dei trasporti di traffico pesante, che confluisce verso il cuore della città – ossia verso l’area portuale –  perché non costruire un nuovo porto commerciale lasciando quello nel cuore della città marinara come porto turistico? Esiste nel nostro territorio un’arteria capace di connettersi con la riviera di Ponente? Lungo la Strada Statale 16, verso Trani distante solo a qualche km dalla città, da alcuni decenni esiste un ponte (detto della vergogna, o della grande opera incompiuta con ingente sperpero di danaro pubblico), da sempre quasi in abbandono, che collega la 16 bis passando per la Statale per immettersi sulla riviera di Ponente nata per collegare le litoranee da Barletta a Trani. Per inciso, un’altra ora da sempre incompiuta dai tempi del traino e cavallo, è quella della Strada Provinciale 141 che collega Margherita di Savoia a Manfredonia, con il tragico effetto di separare la Provincia di Foggia o meglio la Provincia Bat dal Gargano».

In questo contesto, «realizzare un porto commerciale sulla costa di Ariscianne-Boccadoro, significherà enorme risparmio di tempi di percorrenza per il traffico pesante, nonché ingenti risparmi di costi e di sgravi dannosi effetti da inquinamento nel cuore della città. In tal modo l’attuale porto potrebbe essere usato per la diportistica, lo sport acquatico, promuovere le feste popolari religiose in onore di San Cataldo primo protettore della Città (senza trascurare San Francesco da Paola). Insomma far risorgere la città marinara a beneficio delle stesse potenziali attività produttive e identità culturali, non solo ludiche. Visto che a gestire i risicati traffici portuali sarebbero rimasti solo la Cementeria di Barletta ed i Casillo di Corato, che per altro spesso prediligono portare su gomma verso il Porto di Bari le loro merci, una seconda ipotesi – alternativa al nuovo porto di Ariscianne – sarebbe comunque quella di chiudere del tutto gli stessi traffici commerciali nel porto di Barletta per riutilizzarlo e ammodernandolo in attività di diportistica, etc. a beneficio di tutti: della stessa eliminazione del traffico pesante in ambiente urbano, riduzione degli indici di forte inquinamento».

C’è anche una terza ipotesi: «Pensare a possibili connessioni del traffico urbano e ciclo-pedonale tra la congestionata città marinara (antichi borghi di santa Maria e san Giacomo) con la litoranea e la stessa area portuale. Numerose città italiane (dai tre Porti di Manfredonia alla litoranea di Pescara etc.) ne hanno dato ottimi esempi risolutori anche su piano estetico-funzionale. Ma Caro sindaco Pasquale Cascella – Barletta antica città marinara dopo Amalfi – ancora langue sotto la cappa di un cielo da cui pioveranno milioni di Euro (23 per il prolungamento del molo di Ponente, 15 per la riqualificazione delle coste; 2,7 per i fondali d’ingresso del porto). Milioni di euro utili solo per le solite pagliacciate di campagne elettorali e sicuramente a scarsa redditività per il vero bene della città e dei suoi cittadini, colpevoli anche di produrre materiali “organici inquinanti”?»