Le vite di Francesco Cito, a guardare il suo curriculum fatto di fotografia, sono tante. Talmente tante che a leggere i suoi lavori si coglie l’evidente fusione tra professionista e personalità. Nato a Napoli il 5 maggio 1949, trasferitosi a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia, Cito pratica la professione di fotoreporter da più di 40 anni (“Ho iniziato nel 1975, decisi di andare in Inghilterra per studiare, ma ho capito presto che avrei dovuto lavorare per mantenermi”). Una storia avviata a Londra, fotografando “tutto quello che riguardava musica leggera in Inghilterra in quegli anni, a partire dal primo concerto di Santana in Europa per Radio Guide”.  L’amore per la fotografia era però già vivo e vegeto: “La vedevo come il tramite per l’avventura, sfogliavo il settimanale Epoca –ricorda- con i grandi servizi di Walter Bonatti. Adoravo lo spirito del fotografo, prima ancora che l’arte che c’era alla base. Quando anni fa ho conosciuto Bonatti, gli ho detto scherzando: “Mi hai rovinato la vita”. A scuola mi ero rotto le scatole, i miei mi avrebbero voluto ingegnere”.

A mujahedeen fighter with an AK-47 Kalashnikov and the head of a government soldier slaughtered near Maiwand while the Soviet army was in retreat. Moscow's policy has left the control of Afghanistan to the pro-Soviet President Mohammad Najibulla _ Un mujaheddin con il suo AK-47 Kalashnikov e la testa di un soldato governativo trucidato durante la ritirata dell'esercito sovietico che ha lasciato il controllo dell'Afghanistan al presidente filosovietico Mohammad Najibulla
A mujahedeen fighter with an AK-47 Kalashnikov and the head of a government soldier slaughtered near Maiwand while the Soviet army was in retreat. Moscow’s policy has left the control of Afghanistan to the pro-Soviet President Mohammad Najibulla _ Un mujaheddin con il suo AK-47 Kalashnikov e la testa di un soldato governativo trucidato durante la ritirata dell’esercito sovietico che ha lasciato il controllo dell’Afghanistan al presidente filosovietico Mohammad Najibulla

L’Inghilterra è stata un’avventura, ma solo la prima di una lunga serie: “Ero già un viaggiatore nello spirito, ogni estate mi muovevo in giro per l’Europa in autostop”. Non ha mai avuto una scuola, ma “la vocazione che mi ha dato Radio Guide mi ha permesso di capire cosa significava scattare foto per una testata giornalistica”. Il click alla macchina fotografica è solo “un gesto meccanico, l’esecuzione nasce nel cervello nel momento in cui nasce uno scatto. E’ tutta lì la differenza”. Nel 1980 Cito è stato uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l’Afghanistan occupato con l’invasione dell’Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i sovietici, percorse 1200 chilometri a piedi. Sue le foto dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate. “Oggi i fotoreporter forse sono più agguerriti di quanto lo fossi io, anche se qualcuno cade nella voglia di andare oltre i limiti che gli sono consentiti, a suo rischio e pericolo. O ritorni con una storia o ritorni in una bara”.

Niamey, un giovane indossa una maglietta con su impressa l'immagine di Osama Bin Laden
Niamey, un giovane indossa una maglietta con su impressa l’immagine di Osama Bin Laden

Coraggioso sì, spericolato mai. Il fotoreporter per Cito deve essere prima di tutto “un grosso professionista, intellettualmente corretto”. Una stella polare che lo ha guidato sin da quando ha iniziato a collaborare con The Sunday Times magazine, che gli ha dedicato la prima copertina per il reportage “La Mattanza”. Rientrato a Napoli negli anni ’80, Cito ha realizzato nella sua Italia n reportage sulla camorra, pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche, nazionali ed estere. In Italia si è spesso occupato di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena che gli è valso il primo premio al World Press Photo 1996 ed altri rilevanti aspetti della società contemporanea.  Le riviste con le quali ha collaborato sono di primissimo ordine: in rigoroso ordine alfabetico, Bunte,  Epoca , l’Europeo , Figaro mag , Frankfurter Allgemeine mag , Illustrazione Italiana , Il Venerdì di Repubblica , The Indipendent , Io Donna , Il Sole 24 Ore mag , L’Express , Life , The Observer mag , Panorama , Paris Match , Sette-Corriere della Sera , Smithsonian mag , Stern , Sunday Times , Traveler  e Zeit mag. “Quando ho iniziato, non sapevo nulla di fotografia: le mie prime foto sono ancora nelle redazioni dei giornali, ho perso rullini per strada durante i traslochi –scherza- quando ho iniziato ad avere la consapevolezza di quello che facevo ho iniziato a stare più attento, in particolare da quando ho iniziato a fare il freelance”.

Khan Yunis le rovine dopo la battaglia tra combattenti palestinesi e l'esercito di Tzahal  a ridosso dello insediamento ebraico di Bush Katif Khan Yunis, ruins after the clash between palestiniens fighters and the israeli soldiers of Tzahal among the israeli settlement of Bush Katif
Khan Yunis le rovine dopo la battaglia tra combattenti palestinesi e l’esercito di Tzahal a ridosso dello insediamento ebraico di Bush Katif
Khan Yunis, ruins after the clash between palestiniens fighters and the israeli soldiers of Tzahal among the israeli settlement of Bush Katif

Freelance: per “raccontare le storie che volevo. Quello che mi interessa è sapere, conoscere, essere sul posto. Non posso pensare quello che mi raccontano gli altri. Non posso pretendere che la mia verità sia assoluta, ma è la mia. Molte storie non le ho mai pubblicate su determinati giornali perché non mi ci ritrovavo ideologicamente”. Così nel 1983 è inviato sul fronte Libanese da Epoca, e ha seguito il conflitto in atto fra le fazioni palestinesi; i pro siriani del leader Abu Mussa, e Yasser Arafat e i suoi sostenitori. E stato’ l’unico foto-giornalista a documentare la caduta di Beddawi (campo profughi), ultima roccaforte di Arafat in Libano.  E’ con questo spirito che nel 1984 si è dedicato alle condizioni del popolo palestinese all’interno dei territori occupati della West Bank (Cisgiordania) e la Striscia di Gaza. E’ in questo modo che ha seguito tutte le fasi della prima “Intifada” (1987 – 1993) e la seconda (2000 – 2005), restando ferito tre volte durante gli scontri. “Ho trascorso in viaggio quasi metà della mia vita per 20 anni”. Nel 1990, è stato in Arabia Saudita nella prima “Gulf War” con il primo contingente di Marines americani dopo l’invasione irachena del Kuwait, seguendo tutto il processo dell’operazione “Desert Storm” e la liberazione del Kuwait 27 – 28 febbraio 1991.

Un T 54 di costruzione sovietica in dotazione alle forze militari irakene di Saddam Hussein distrutto dalle forze della coalizione internazionale durante la liberazione del Kuwait il 27 febbraio
Un T 54 di costruzione sovietica in dotazione alle forze militari irakene di Saddam Hussein distrutto dalle forze della coalizione internazionale durante la liberazione del Kuwait il 27 febbraio

Una lunga storia, fatta anche di alcuni rifiuti sui lavori proposti: “La Palestina me l’hanno spesso bocciata, in particolare quando alla direzione del giornale c’era qualche direttore ebreo. Come lo si accetta? E’ complicato, ma occorre avere il rispetto dei ruoli”. Nei suoi viaggi attraverso il Medio Oriente, in più occasioni ha focalizzato il suo interesse a raccontare i vari aspetti dell’Islam dal Pakistan al Marocco, mentre è del 2000 un reportage sul ” Codice Kanun “, l’antica legge della vendetta di origini medievali nella società albanese. A Barletta, durante la terza tappa del R-Evolution Summer Festival 2017, le sue opere saranno esposte nella cornice del polo museale del Castello Svevo. Questa sera, giovedì 13 luglio, alle 20.30, sarà il protagonista dell’attesa lectio magistralis in programma a Palazzo della Marra. Un consiglio per gli aspiranti fotoreporter del futuro, però, già c’è: “Andate via dall’Italia per crescere. Servono stimoli e libertà, qui è sempre più complicato trovarne”.