«Sembrerebbe questo il titolo di una scena da film di cassetta a barzellette in modalità del birbante pierino? Oppure quello tra animosi giocatori barlettani di carte, come al solito e sicuri di sé, raddoppiano e rilanciano la posta in gioco? Ma per vincere cosa, se poi non osservano le regole del gioco? Visto che noi del Centro studi da parecchi lustri abbiamo ricostruito rivestito la ns cara Barletta a identità marinara, visto recenti solleciti nell’aggettivare La sfida del borgo, come borgo marinaro, a che gioco si sta giocando, se il bravo sindaco parrebbe come colui che salito sull’asino, si crede però il più alto e saggio di tutti e di tutto? Il borgo si identificherebbe come prolungamento fisico e ideale del proponente? O di si tratterebbe di che cosa d’altro? Chi vince al gioco delle tre carte, il cartaio o il giocatore?

Intanto, vediamo di dare senso al non senso della denominazione del progetto di circa 20 milioni di Euro: La sfida del borgo.  La prima domanda verrebbe spontanea: di quale borgo si tratterebbe? Di quello murattiano di Bari o di quello di Santa Maria di Barletta? Non è dato sapere. Allora vi sarebbe una dissonanza cognitiva tra realtà e pensiero, tra improbabile allusione su ciò che era (chiara identità) e ciò che si vorrebbe divenisse (l’attuale trionfo del diffuso e comodo anonimato). Forse su linguaggio e semantiche allusive il discorso si renderebbe più facile: si starebbe pensando del mio o del tuo borgo? Oppure di un qualcosa da rimuovere dalla coscienza storica personale repressa da quella sociale, politica e culturale? Insomma si potrebbe dire: se salgo su un asino, mi sentirei più in alto dello stesso umile asino? Però dell’asino non mi importa nulla, perché sia lui che il borgo sarebbero solo cose (immaginate) ma sempre mie. Quindi si tratterebbe del mio borgo. Ma perché? Il marchese del Grillo (di Alberto Sordi) direbbe, perché io sono io. E voi non siete Un.

Ma la sfida del borgo, fa rima cognitiva di un altro senso. saremmo quindi come ai talk show televisivo del non senso e puro intrattenimento? Complice di tale sproloquio non certo da calura estiva. Ossessione perseverante, forse si. Ecco alcuni possibili sinonimi da strapaese, da sfida del borgo: la sfida del porco, che ci rimanda alla sfida della porchetta di paese; il borgo della sfida che fa rima col borgo della sfiga per i bulli da casa nostra. Cosa che a sua volta, per estensione nel linguaggio da basso trivio, e dietro le quinte in pesanti alterchi del recente consiglio comunale (tra sindaco e cons. Antonio Divincenzo), giungerebbe a far rima passando dalla Città della Sfida a quella della città della sfiga, viste la politica della sfiga, con i crolli da sfigati, che si abbatterebbero in replica. Senza neanche chiede preventivo permesso (di cadere/non cadere; crollare/non crollare) al sindaco, delibere di giunta, e così via, per così dire. Altre dissonanze quasi cognitive: la sfida, pardon la sfiga di chi comanda o di chi delega a comando. Senza dunque pensare a chi, come e perché si impartirebbe un dato comando senza sapere e conoscere un bel nulla su cosa vogliamo e dove dobbiamo andare? Come allora uscirne da mille esagitati alterchi, visto che la cantina del borgo rimane tuttora con la botte piena e la moglie ubriaca?

Una persona, un bambino, una cosa, un cane, un gatto, una persona, una moglie, un marito, una città, un borgo, un quartiere, una nazione, oppure un progetto da realizzare o da rinnegare, un cittadino o un sindaco, etc., privo di un qualche nome proprio da identificare e onorare, non avrebbe dignità d’essere. Quindi un qualsiasi sostantivo privo di una qualche aggettivazione non può essere identificato. Si tratterebbe allora di un qualcosa che ci rimanda all’anonimato, senza identità e pure senza dignità? Il nome è tutto, e il niente consisterebbe sino all’offesa inconffessata. Cerco di fare il bene e al meglio, però mi ritrovo il male e il peggio che non voglio? Eppure il potere senza il sapere è devastante. Eppure dopo mille convegni e decine pubblicazione di volumi storico-scientifico sulla Barletta città marinara, dopo che del ns Progetto strategico del lontano 2016 fu favorevolmente recepito dal sindaco Pasquale Cascella, perché portavo la chiara denominazione di Blue economy. Perché da allora il progetto strategico rimane insabbiato e inascoltato? Un generale non è un caporale, questo si occupa delle tattiche del giorno, e quello di visoni di lungo periodo storiche, attuali risvolti e prospettive future.  In breve, sarebbe questa la ragione del diniego d’ascolto che di fatto porta il Comune ad essere sordo, muto comminando a carpe diem (afferra l’attimo sfuggente) fino creare continui problemi al territorio dell’intera città, anche dove problemi non esisterebbero?

Passiamo al secondo punto ovvero al sano e beneaugurante sollecito, proposto da alcuni cittadini, tra gli altri come quello del signor Pietro, che di pietre se ne occupa da una vita, sul possibile ed ulteriore crollo di ciò che resta ancora in piedi (e non è poco) del crollo di via Curci.  Che ne sarà della parete squarciata dalla bomba di via Curci, che per ovvie ragioni burocratico-legali resterà tale a lungo? Nell’immaginario collettivo ma anche burocratico, sembra che i resti che si ritrovano della l’intera parete crollata, già evochi l’immagine onirica e rassicurante di decadenti e innocui reperti archeologici: delle mura delle Terme di Caracalla, o del Colosseo romano, o di Pompei, oppure di Canne della Battaglia. Direbbe il noto, tranquillante adagio canoro di Charles Aznavour: come è triste Venezia!? No anzi come è triste Barletta.

Il fatto che la meteorologia sia tra le scienze (come quelle umanistiche e sociali) non esatte, cioè non prevedibili in automatico o con delibera di giunta o provvedimenti del sindaco, etc., significa non poter prevedere un qualche banale acquazzone da un momento all’altro? Ma se ai nostri amministratori questo non importerebbe nulla dentro i loro comodi uffici da pensatoio, cosa succederebbe invece alla facciata quasi pendente della palazzina del crollo? Crollerà o non crolleranno i resti di quella fragile parete ormai denudata di ogni sicurezza e staticità? Ecco la bella scoperta: crollerebbe rovinosamente a terra. Come allora prevenire a questi ulteriori danni potenzialmente arrecabili a persone, cose e animali? Intanto i nostrani super esperti comunali e sovra comunali non possono che tacere. Si tratterebbe pertanto di un semplice, normale, ordinario e non dispendioso provvedimento. Anzi si tratterebbe di pura accortezza del proverbiale buon muratore. Fasciare con delle tavole (non tavolate mangerecce) l’intera facciata che cadrebbe al primo acquazzone di turno. Se si vuole, si tratterebbe di una sfida del borgo, quello marinaro di un tempo, oggi decadente e dolente. Proprio come quell’area rurale di un tempo (tra via Campi, via Curci, etc.) che segnava il limite tra la città marinara urbanizzata e l’ingresso nell’estesa campagna di via dei campi, lungo la strada Nuova».